Doppia cassa a cannone, melodie seducenti, epicità all’ennesima potenza, una voce pulita (quella di
Johan Haraldsson) che cerca di innalzarsi (riuscendosi solo parzialmente) verso vette irraggiungibili, ma soprattutto, un fortissimo anacronismo storico che, per un amante del “power che fu”, come il sottoscritto, ha anche un certo “non so che” di...romantico!
Signore e Signori, ecco a voi:
In Memoriam, secondo album in studio degli
Evermore.
Dicevamo di una band che sembra vivere fuori dal proprio tempo.
Eh sì, perché gli svedesi, provenienti da Karlskrona, con il loro sound energico, dal taglio solenne, eroico e, talvolta, un pò zuccheroso, ma mai banale, sembrano provenire direttamente da quel glorioso periodo, a cavallo tra la fine degli anni 90 e l’inizio del nuovo millennio, in cui il genere, fungeva da vero e proprio faro per l’intera scena metallica, illuminandola di luce abbagliante, prima che la sua intensità si affievolisse impietosamente.
In Memoriam, (che stilisticamente poco si discosta dal precedente
Court Of The Tyrant King), dato alle stampe dalla
Scarlet Records, è quindi il classico album di melodic-power europeo, a metà strada tra Insania e Freternia (tanto per citare delle formazioni connazionali), ma anche Freedom Call (per alcuni passaggi più “happy”, vedasi
Broken Free o la title-track), Stratovarius, Edguy (
Parvus Rex e
Queen Of The Woe ricordano vagamente i momenti migliori del passato di Sammet), senza dimenticare gli immancabili padri fondatori del genere, ovvero Helloween (
I Am The Flame è una traccia che, in certi frangenti, sembra richiamare tanto l' "era Kiske", quanto la prima “era Deris”) e Gamma Ray (in particolare per quei brani più aggressivi, come
Empire Within o
Nightfire).
Tuttavia, va detto che, a differenza di altre giovani realtà emergenti del settore, come ad esempio i
Krilloan (tanto per rimanere in Svezia), o anche rispetto ai nostrani
Frozen Crown, gli
Evermore difettano di personalità e non aggiungono praticamente nulla a un genere che (purtroppo) ormai ha davvero poco da dire; la band si limita a crogiolarsi negli stilemi tipici della tradizione power, finendo per ripeterne sempre il medesimo canovaccio, fatto dei soliti luoghi comuni (velocità, melodia, aggressività ed epicità), di cui si diceva sopra.
Certo, bisogna anche riconoscere che i Nostri si trovano completamente a proprio agio all’interno di queste sonorità trite e ritrite, dando luogo a trame melodiche ed assoli (a cura del bravo
Johan Karlsson) di pregevole fattura, ad una sezione ritmica sempre robusta, grazie alla batteria energica di
Andreas Vikland, ma soprattutto, vero punto di forza del disco, gli
Evermore sono in grado di ricreare perfettamente quelle atmosfere magiche, figlie di un’epoca indimenticabile; insomma, si ha la netta sensazione che questi ragazzi credano ciecamente in quella che fu "la sacra fiamma del power“ e, francamente, quest’ultimo aspetto, non può non farmeli vedere con un occhio diverso ed un pizzico di simpatia in più, lo ammetto.
Dunque riassumendo,
In Memoriam offre l’opportunità a tutti i detrattori del power metal di trovare pane per i loro denti e sparare a zero sugli
Evermore, una band che si nutre di tutti quegli stereotipi che hanno decretato la fortuna del genere in passato ma, al tempo stesso, gli amanti di questo sound, potranno invece sentirsi nuovamente “a casa”, lasciandosi avvolgere da quelle tipiche atmosfere appartenenti a un tempo glorioso, sempre più lontano e sempre più rimpianto.
La verità, come sempre, molto probabilmente sta nel mezzo, ma vi confesso che è stato emozionante farsi trasportare indietro nel tempo di 25 anni, anche se solo per 40 minuti scarsi!