Il nostro baldo
Emiliano, sorta di enciclopedia semovente quando si discetta di
black metal, me l’aveva preannunciato già in sede di assegnazione:
“
Bell'album Marco, vai tranquillo”.
Ebbene: dopo svariati ascolti in cuffia non posso che confermare la sostanziale infallibilità del Collega di penna.
Già, perché “
Black Flame Eternal”, pur non strabiliando e senza inventare nulla, possiede tutti gli ingredienti necessari a saziare i palati dei cultori dell’estremo.
A voler ben vedere, rassicurazioni sulla granitica aderenza dei
Cloak ai dettami del nero verbo si potevano cogliere anche dai dettagli di contorno: si pensi al titolo, tanto banale quanto fieramente identitario, o all’
artwork di copertina a firma
Jordan Barlow.
Le composizioni, dal canto loro, confermano quanto di buono dimostrato in occasione dei due precedenti
full length, abbracciando lo spettro sonoro di un
black sì ortodosso, eppur per nulla stantio.
Uno spettro che, giusto per fornirvi qualche riferimento, vaga inquieto tra
Watain e penultimi
Behemoth (anche lo stile vocale di
Scott Taysom è contiguo a quello di
Nergal), senza per questo scadere nel didascalico o nel derivativo. Salvifiche, in questo senso, le variazioni sul tema: penso alle scudisciate chitarristiche di stampo
death e
black 'n' roll, agli intrecci melodici reminiscenti dei
Dissection o, ancora, alle parentesi più chete, dal sapore ritualistico.
Aggiungete pure alla lista dei bonus una esecuzione impeccabile ed una produzione -ancora una volta- di ottimo livello; giacché ci siete, soffermatevi anche sulla omogeneità qualitativa di una
tracklist magari priva di assoluti picchi di eccellenza, ma in cui non si segnalano cadute di stile o momenti di stanca.
Ciò detto, giacché son qui, mi permetto comunque di indicare gli episodi che in questo momento prediligo: partirei dalla decadenza goticheggiante di “
Eye of the Abyss”, passando dalle lugubri sferzate di “
Seven Thunders”, per concludere con l’apocalittica epicità di “
Shadowlands” e “
The Holy Dark”.
Puerili elenchi a parte avrete ormai colto l’antifona: la nuova opera dei
Cloak non sarà un capolavoro destinato a sconvolgere il mercato di riferimento, ma costituirà porto sicuro per chiunque si cibi di tenebra.
Per chi scrive va benissimo così.
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