Nonostante il curioso
monicker - che sembra ispirato a un codice fiscale italiano - e un’immagine ricercata e inquietante, i norvegesi
Avkrvst debuttano con un lavoro complessivamente convincente, il cui unico difetto sta in una proposta molto derivativa e al momento poco personale.
Sono le sonorità “ibride” degli
Opeth di
“Watershed” a dominare
“The Approbation” (
“The Pale Moon”), mentre le linee vocali rievocano spesso il progressive rock più elegante di
Steven Wilson, (
“The Great White River”). Il rifframa più nervoso ed elaborato (
“Isolation”) ben si sposa con il Mellotron sinistro di memoria crimsonica e “nordica” allo stesso tempo (
“Arcane Clouds”).
Le idee migliori si trovano sicuramente nei due lunghi episodi conclusivi.
“Anodyne”, con il suo Hammond ficcante che controbilancia la bucolica coda acustica, sfocia in una riuscita
titletrack a cavallo tra atmosfere sinfoniche e claustrofobiche, con voci filtrate, chitarre rocciose e un gran bel finale di matrice Seventies con tanto di sintetizzatore monofonico a sfumare.
Fuoco di paglia? Presto per dirlo.
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