Dopo un lungo periodo dove la comunità
rockofila pretendeva dai suoi migliori interpreti estremismi o sperimentazione, è già da un po’ di tempo che la riscoperta dell’
heavy metal “classico” ha consentito ad un’armata musicale piuttosto variegata di conquistare una rinnovata considerazione.
“Vecchi leoni” e “giovani virgulti” hanno dunque ripreso ad assecondare la domanda di “puro metallo” che sembra coinvolgere anche le generazioni più giovani, ed ecco che in quest’ottica anche il “ritorno” di gruppi di grande valore e poi bersagliati dalla malasorte o osteggiati dalla “storia”, è diventato un
trend piuttosto diffuso.
Ovviamente, come accade an ogni “moda”, non è tutto oro quello che luce, ma se parliamo dei
Fifth Angel, autori di due
album spettacolari agli albori degli anni novanta, il loro ritorno dopo aver disertato (loro malgrado) a lungo le scene non poteva che essere accolto dagli estimatori del settore con entusiasmo e curiosità.
I buoni riscontri ottenuti da “
The third secret" del 2018 accentuavano ulteriormente l’attesa per questo “
When angels kill”, da considerare per certi versi il primo vero parto discografico dei “nuovi”
Fifth Angel, oggi ampiamente trasformati nella
line-up.
Steve Carlson,
Steve Conley (Flotsam and Jetsam, F5) e
Jim Dofka (Dofka, Necrophagia, Leather Leone, Psycho Scream) affiancano infatti gli storici
Ken Mary,
John Macko ed
Ed Archer e fin dal primo contatto con l’opera appare chiaro come l’assetto attuale della
band abbia anche determinato una sorta di “attualizzazione” del suo stile musicale, realizzata innanzitutto attraverso l’impatto “frontale” dei suoni.
La voce stentorea di
Carlson (un carneade sulle piste di
Russel Allen e
Jørn Lande) e il muro chitarristico rendono il programma piuttosto coriaceo ed energico, adatto anche a chi ha conosciuto il genere grazie a “gente” come Firewind e Dream Evil.
Rimane solido l’antico legame con il vate
R.J. Dio, al pari di quello con i conterranei Metal Church e (complice pure il
concept fantascientifico e cinematografico) Queensryche, ed è sufficiente l’ascolto della
title-track dell’albo, della caliginosa “
Resist the tyrant” e degli inni “
We are immortal” e “
Empire of hate” per rendersi conto che anche Judas Priest e Primal Fear farebbero bene a guardarsi le spalle.
“
On wings of steel” e “
Run to the black” ostentano un approccio più vicino agli esordi del gruppo e lo stesso si può affermare per le sfumature
class-metal (alla “
Time will tell”) di “
Five days to madness”, mentre "
Seven angels” è un numero di
power melodico di discreta fattura, “
The end of everything” piace per il
pathos enfatico e “
Blinded and bleeding” e "
Light the skies” sono brani costruiti con perizia esecutiva, grinta e con un certo gusto espressivo, ma sprovvisti della scintilla decisiva.
Andiamo meglio, soprattutto se siete
fans dei Queensryche, con “
Kill the pain” e “
Ashes to ashes”, che esauriscono le notazioni su un lavoro complessivamente alquanto godibile, sebbene un po’ dispersivo (una maggiore concisione e la riduzione delle porzioni “recitate”, avrebbero probabilmente giovato all’efficacia del disco) e, ammettiamolo, privo del fascino evocativo che contraddistingueva i
Fifth Angel “originali”.
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