Gli
Unearth, con una line-up leggermente revisionata, la quale vede il rientro di
Mike Justian dietro le pelli al posto di Nick Pierce e l’uscita dello storico chitarrista Ken Susi non ancora ufficialmente rimpiazzato, tornano sulla scena del Metalcore con un nuovo lavoro in studio a distanza di circa cinque anni da
“Extinction(s)”:
The Wretched; The Ruinous.
Gli Unearth erano partiti piuttosto bene ad inizio carriera, con un Metalcore molto aggressivo che strizzava l’occhio alla melodia e che li vedrà essere tra gli alfieri della seconda ondata del genere, confezionando tre lavori discreti:
“The Stings of Conscience” (2001),
“The Oncoming Storm (2004)” e l’ottimo
“III: In the Eyes of Fire” (2006) che è indubbiamente il loro disco migliore. Dopodiché una serie di album sempre in calando, in cui gli statunitensi misero il pilota automatico incrementando ulteriormente gli elementi melodici sotto forma di refrain e cori forzatamente catchy, finendo così per perdere la loro identità nel calderone delle numerose band fotocopia, che purtroppo albergano, molto più che in altri, in questo particolare sottogenere di Metal estremo, strizzando l’occhio ai diktat delle tendenze del momento.
Con
“The Wretched; The Ruinous” gli Unearth sembrano finalmente rialzare un po’ la testa. Niente di innovativo, siamo di fronte alla solita miscela di elementi Thrash, Hardcore, Melodic Death (At the Gates come principale ispirazione) e Deathcore, con ritmiche al fulmicotone che si schiantano su breakdown improvvisi e pesantissimi, ritornelli accattivanti e tanta violenza.
Niente pare essere mutato, semplicemente i ragazzi di Boston hanno recuperato una certa spontaneità che mancava ormai da tempo. Sono riusciti a limare la stucchevolezza delle soluzioni melodiche adottate negli ultimi anni, in particolar modo
Trevor per quanto riguarda le linee vocali, il quale in più frangenti si lancia su toni estremamente ribassati di growl; ma soprattutto risultano più abili nel miscelarle con la loro anima più brutale in un dinamismo dotato di maggiore naturalezza, che riesce a rendere il prodotto più avvincente.
“Invictus” ne è l’esempio più azzeccato.
Giova molto all’economia del disco il lavoro di chitarra svolto da
Buz McGrath, il quale recupera la vena Thrash/Groove che era andata a scemare, ben affiancato da
Mike Justian con il suo drumming preciso e arrembante, il quale si lancia anche in blast beat dal taglio particolarmente estremo, come avviene sulla parte iniziale di
“Cremation of the Living”. La produzione svolta da
Will Putney confeziona un sound estremamente moderno, deflagrante e imponente; imponenza che si fa sentire particolarmente nei numerosi breakdown di cui è infarcito il platter, uno su tutti quello di
“Eradicator”, ma non solo, si pensi anche a
“Dawn of the Militant”. I testi, come spesso avviene per il gruppo in questione, sono critiche rivolte nei confronti degli atteggiamenti scellerati adottati dall’essere umano.
In questo LP, molto forte sembra essere il tema della distruzione dell’ambiente operata dalle nostre strutture socio-economiche; previsioni di apocalisse – a tratti sembrano un vero e proprio augurio – che si avvereranno a causa dei nostri atteggiamenti sconsiderati. Così come aleggia lo spettro della distruzione nucleare in
“Dawn of the Militant” e in
“Broken Arrow”. In tutto questo marasma nero vi è da segnalare anche un invito alla rinascita e alla ricostruzione che si trova contenuto in
“Call of Existence”.
Non siamo di fronte a niente di sbalorditivo, ma quantomeno ci viene consegnato un disco piacevole, con momenti più che discreti e qualche piccola perla degna di suscitare entusiasmo. Risulta fruttuosa all’economia di
“The Wretched; The Ruinous” la sua tutto sommato breve durata, 11 tracce per poco più di 36 minuti, che consente di sorvolare con più facilità i frangenti meno ispirati senza cadere nel grigiore della noia che talvolta porta l’ascoltatore a skippare i brani, riuscendo invece a mantenere buoni i livelli di adrenalina.
Un full-length che si spera possa essere presagio di lavori migliori in futuro. E sarebbe lecito aspettarseli – anche se un vero e proprio capolavoro non lo hanno mai realizzato –, dato che sulla carta agli
Unearth non mancherebbe assolutamente niente.
Recensione a cura di
DiX88