Queensrÿche e Crimson Glory hanno rappresentato due delle più brucianti passioni musicali della mia esistenza e partendo da tale presupposto è stato fatale pedinare nel tempo i molti gruppi “emergenti” che si rifacevano a tali colossi, selezionando con “spirito critico” quelli che sono riusciti a seguire meglio le loro orme (qualche nome prelevato dalla ormai ottenebrata memoria … Drive, Lethal, Hittman, i Ruffians di
Carl Albert, …).
In un momento storico in cui il metallo “tradizionale” sembra aver riconquistato un notevole interesse nei gusti dei
rockofili, non è raro imbattersi in “nuove leve” affascinate dai suddetti modelli, molto spesso,
ahimè, fin troppo devote nei confronti dei loro numi tutelari.
In mezzo a tanti “riscopritori” di quei suoni, credo meritino una menzione particolare questi
Wings Of Steel, californiani (da non confondersi, quindi, con i
progsters olandesi di “
Face the truth”) innamorati del cosiddetto
US power metal e giunti ( (dopo il mini eponimo del 2002) al debutto autoprodotto sulla lunga distanza “
Gates of twilight”.
Una segnalazione che, come facilmente intuibile, non riguarda la loro “originalità”, abbastanza limitata, ma la capacità di dosare in una maniera realmente ricca di buongusto e intelligenza tutti i tipici
cliché del genere, sostenuti da doti tecniche di livello.
Saper aggiungere all’impasto sonico intriganti variazioni
hard-rock,
blues e
doom, rende ancora più godibile la fruizione dell’albo, sicuramente “nostalgico” e tuttavia sviluppato con tanta cura e un certo acume.
Il
vocalist Leo Unnermark (viste le proibitive ispirazioni primarie, uno dei principali elementi “sotto osservazione”), oltre a dimostrarsi un egregio epigono di
Tate e
Midnight, manifesta pure una certa versatilità espressiva, incorporando nel suo stile interpretativo sfumature vocali ereditate da
Michael Matijevic,
Ray Gillen e
David Coverdale.
Al resto provvedono l’ottimo chitarrista (e bassista)
Parker Halub e il poderoso batterista
Mike Mayhem, a completare un
team di musicisti dotati di tecnica, sensibilità e cultura, caratteristiche fondamentali per evocare, e senza eccessi parodistici, i gloriosi Crimson Glory nella fascinosissima
opener “
Liar in love”.
“
Fall in line” accentua la componente aggressiva del suono, aggregando gli immancabili Iron Maiden al blasonato elenco dei capiscuola musicali, mentre in “
Garden of Eden” i nostri scuriscono i toni del loro
songbook, mescendo Whitesnake, Dio e Black Sabbath in un unico crogiolo sonoro.
“
Cry of the damned” è un altro buon esempio di
hard n’heavy tagliente e avvolgente e se il clima di “
She cries” (soprattutto nelle parti introspettive) rimanda nuovamente agli indimenticati autori di “
Crimson Glory” e “
Transcendence” (e “
Strange and beautiful”, pure …), le successive “
Lady of the lost” e “
Leather and lace” riportano il
mood dell’
album sui tenaci sentieri dell’
hard-blues, per poi concedersi subito dopo un ulteriore momento di suggestiva riflessione denominato “
Slave of sorrows”.
Riuscire a citare a ragion veduta (primi) Queensrÿche, Candlemass e Judas Priest non è cosa da poco e se la
title-track dell’opera riesce nell’intento è solo perché i nostri possiedono quel
quid attitudinale che li distingue dalla massa, lo stesso “misterioso” fattore che consente all’evocativa “
Into the sun” di trascinare l’astante in un magnetico crescendo emotivo.
Terminate le brevi annotazioni sul brillante contenuto di “
Gates of twilight”, non mi rimane che eleggere i
Wings Of Steel tra le “promesse” più interessanti della “scena”, da seguire con grande interesse nel loro percorso di auspicabile “maturazione” futura.