Tranquilli...sono sempre LORO: gli
Iron Savior dell’intramontabile
Piet Sielck!
Inossidabili, inarrestabili, bellicosi ed orgogliosamente “in your face”, ma sempre con stile e sentimento.
Una band che, nel corso della sua onorata carriera, non ha mai cambiato pelle e, statene pur certi, mai scenderà a scomodi compromessi che possano minare la propria fiera integrità metallica!
Del resto, come già scritto in occasione dell’ultima fatica dei connazionali
Primal Fear (gruppo con cui vi sono sempre state parecchie analogie), nessuno (loro per primi) pretende che modifichino, anche solo di una virgola, la propria concezione musicale, nella quale riescono a esprimere il meglio della loro creatività artistica e poco importa se qualcuno dirà che i loro dischi si somigliano un pò tutti. A noi va benissimo cosi!
Firestar, dodicesimo capitolo nella discografia dei tedeschi, uscito per la solita
AFM RECORDS, ci spiattella, dritto sul muso, il consueto muro metallico, in pieno stile
Iron Savior: massiccio, esplosivo, ruggente, velenoso, ma dalle tinte melodiche ficcanti, che si insinuano all’interno delle possenti strutture delle composizioni, come fossero gocce di rugiada che penetrano in una solida parete rocciosa, creando atmosfere epiche e pungenti.
Le chitarre di
Piet Sielck e
Joachim Küstner partono immediatamente all’assalto, già dall’iniziale
Curse Of The Machinery, per poi concretizzare la propria offensiva sonora attraverso tracce schiacciasassi come
Through The Fire Of Hell, oppure ancora nella spigolosa
Demise Of The Tyrant.
Anche l’ormai collaudata sezione ritmica, composta dall’accoppiata J
an-Sören Eckert al basso e
Patrick Klose alla batteria, dà il suo contributo alla causa, rifornendo la macchina da guerra teutonica di ulteriore carburante (non che il serbatoio sia in riserva, tutt’altro), generando brani che spingono vistosamente sull’acceleratore, quali
In The Realm Of Heavy Metal, la title-track,
Mask, Cloak And Sword, o ancora,
Rising From Ashes.
L’unico (piccolo) neo del disco è da individuare nella presenza di qualche refrain un pò troppo “happy” e scontato, come avviene in in
Nothing Is Forever o nella conclusiva
Together As One (tracce comunque valide). Si tratta di passaggi un pò banali che stridono leggermente con il mood generale del disco in cui, a tratti, sembra di respirare quell’atmosfera arcigna e ,al tempo stesso, solenne e magica che, intorno alla fine dello scorso millennio, permise agli
Iron Savior e, al genere intero, di proliferare.
Sia chiaro: i fasti degli esordi (che all’epoca furono favoriti dalla presenza al song-writing di un Kai Hansen al suo apice creativo) sono ormai lontani anni-luce, lungi da me fare uno scomodo e impietoso paragone con quegli anni dorati! Tuttavia,
Firestar nel complesso funziona e ci mostra una band in ottima salute che, puntando forte sulla propria orgogliosa identità e, per merito della sua classe innata, riesce ancora, a distanza di anni, a far emergere la propria creatura musicale dal piattume generale in cui sovente rimane impantanato il power.
Ce ne fossero di “bands storiche” che possono vantare la coerenza e la costanza, a livello qualitativo, degli
Iron Savior! CLONATE
Piet Sielck!