Il saggio
Seneca ebbe ad affermare che “
dovremmo sempre lasciar passare un po’ di tempo, perché il tempo rivela la verità”.
I
Cultus Sanguine, evidentemente, volevano esser certi di raggiungere un grado di verità pressoché assoluto, visto che dal precedente
full length a quello oggi in uscita han ben pensato di far trascorrere 24 anni…
Ma in fondo, si sa, il tempo è relativo, e poco importa se quando “
The Sum of All Fears” vide la luce annoveravamo ancora
Massimo D’Alema come Presidente del Consiglio e
Dino Zoff come CT della Nazionale di Calcio (ed io vantavo alcuni metri e milioni di capelli in più); l’importante, semmai, è capire se dopo quasi un quarto di secolo la scintilla dell’ispirazione brilli ancora, o se invece si sia tramutata in cenere, come il titolo stesso del
platter parrebbe suggerire.
Ebbene, gloriosi lettori, mi sento di poter affermare che la
band meneghina si è riaffacciata sulle scene in forma smagliante.
Non nego un notevole senso di sollievo nell’affermare ciò, ritenendo i Nostri un autentico gruppo di culto -termine spesso e volentieri usato a sproposito, ma
non in questo caso-, autore di quello che personalmente considero uno dei più spettacolari esordi dell’intero panorama
underground tricolore.
Parlo, come ovvio, di “
Shadows' Blood”, gemma tanto grezza (si pensi ad esempio ai suoni, o alla pronuncia inglese…) quanto d’inestimabile valore, pregna di un
sound e di un’atmosfera semplicemente uniche.
Ed il nuovo “
Dust Once Alive”?
Beh, volendo forzare un po’ il concetto lo si potrebbe qualificare alla stregua di uno “
Shadows' Blood Parte II”, tanta è la contiguità stilistica fra i due lavori. Per chi scrive, come immaginerete, ciò non costituisce un male… anche considerato il fatto che non possiamo certo imputare ai
Cultus Sanguine di aver ingolfato il mercato con dozzine di dischi fotocopia, anzi.
Quindi, ben vengano la luttuosa miscela di
black,
doom,
depressive e
dark /
gothic, la solenne decadenza dei
riff, le inconfondibili
vocals in perenne bilico tra mire declamatorie e
screaming, i lugubri interventi dell’organo e, più in generale, quel
feeling mesto e sepolcrale degno di una obliata pellicola
horror anni ’70.
Vi basterà posare le orecchie su grandiose composizioni quali “
Delusion Grandeur”, l’apripista “
Facing Vultures Season” o la
title track per saggiare il livello qualitativo di questo
come back.
Non manca nemmeno il brano in italiano (“
Gli Uomini Vuoti”), successore tanto malcelato quanto gradito dell’inno funebre “
Il Sangue” -mamma mia quante volte ho ascoltato quel pezzo-.
Mi astengo dal gridare al capolavoro solo a causa di qualche lungaggine qui e là e di un paio di episodi leggermente sotto tono: penso
in primis a “
Forgiving is Human”, sbiadita fotocopia di “
The Calling Illusion”, ed alla conclusiva “
Days Fall From Life”, nel complesso poco incisiva.
Per chi scrive comunque, al netto di tutto ciò, “
Dust Once Alive” merita incondizionate lodi.
Miei cari
Cultus Sanguine, presumo ci rivedremo intorno al 2048, quando i capelli saranno ormai un vago ricordo. In ogni caso statene certi: vi ascolterò ancora con estremo piacere.