Dopo più di quarant'anni passati a scavare fosse, è giunto il momento per
Chris Boltendahl di staccare un po' la spina alla sua "creatura" principale.
Chiariamo subito che questa decisione non comporta la fine dei Grave Digger, ma pare che semplicemente il cantante tedesco abbia deciso di realizzare con "
Reborn In Flames" un album più pesante del solito, qualcosa tipo (a sue parole) "
Grave Digger meets Metal Church".
Altrettanto schiettamente, posso sin da ora anticipare che di influenze di Kurdt Vanderhoof e soci io non ne ho sentite molte,
Ero comunque curioso di ascoltare cosa poteva venire fuori dalla collaborazione tra
Boltendahl e il chitarrista
Tobias Kersting, con l'ex Orden Ogan che mi ha fatto sicuramente una maggior impressione rispetto a Axel Ritt, che ho sempre trovato poco azzeccato nei Grave Digger.
È proprio la titletrack a dare fuoco alle polveri, "
Reborn in Flames" è esplosiva e dirompente, ma rappresenta certo non una rinascita, nessuna fenice che risorge delle sue ceneri quindi ed è più facile pensare a un ritorno alle radici dei Grave Digger, rispolverati con un sound meno grezzo e compresso, ma anche con la voce di
Boltendahl meno solida di quella di quaranta anni fa. La seguente "
Fire Angel" mantiene l’impegno di togliere il fiato all'ascoltatore, anche per la veemenza e la precisione della sezione ritmica che completa gli
Steelhammer, composta da
Lars Schneider (pure lui ex Orden Ogan) e da
Patrick Klose, il batterista degli Iron Savior.
La più ragionata "
Beyond the Black Souls" è uno dei momenti migliori del disco e mette sul piatto un bell'assolo da parte di
Tobias Kersting, che con la sua chitarra cesella anche le tracce successive, dall'oscura e anthemica "
Gods of Steel" e la speedy "
Die for Your Sins", sino al passo più lento e sinistro dell'accoppiata "
Let the Evil Rise" e "
Out of the Ruins", che scorre via in maniera piuttosto anonima.
Stessa sorte di "
I Am Metal", che pur spingendo a fondo l'acceleratore delude le aspettative suscitate dall'altisonante titolo, perdendo colpi sia in un refrain che non saprei dire se più scontato o ingenuo sia in qualche passaggio strumentale un po' azzardato. Non che le cose vadano meglio sulla seguente "
The Hammer That Kills", ma per fortuna ecco le impennate thrashy di "
Iron Christ" che provano a dare un senso a quanto dichiarato dal cantante tedesco sulla genesi di questo album.
Va da sé che la presenza dietro al microfono di
Boltendahl rende difficile, se non impossibile, non guardare ai Grave Digger, ma i vari episodi di "
Reborn In Flames", inclusa la loro insipida reinterpretazione di "
Beds Are Burning" dei rockers australiani Midnight Oil, fanno davvero troppo poco per allontanarsi da quel contesto.
Pur includendo alcuni episodi riusciti e interessanti, "
Reborn In Flames" non riesce a fare la differenza e non si slega dai cliché dei Grave Digger, e come già rimarcato dalle loro più recenti uscite, evidenzia un momento di stanca compositivo e qualche affanno vocale da parte di
Chris Boltendahl.
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