Molte idee un po' confuse: i
Laster, sin dagli esordi, non sono mai stati un gruppo "facile" in grado di accontentarsi di seguire percorsi determinati, ma, al contrario, hanno sempre osato e si sono sempre spinti più in la.
Il nuovo album è una nuova tappa di questo processo evolutivo che gli olandesi sembrano avere come missione nel loro DNA, ma il voler, per forza di cose, mettere troppa carne al fuoco gli ha portati, questa volta, a strafare nel creare un suono, a mio parere, troppo variegato e troppo indirizzato in mille direzioni diverse tanto che, ascoltare
"Andermans Mijne" e comprenderlo, risulta una impresa praticamente impossibile.
Certamente il gruppo denota una grande preparazione strumentale, e, con altrettanta sicurezza, è facile osservare il lavoro maniacale di arrangiamento che c'è dietro ogni pezzo, tuttavia questo "frullato" di accelerazioni estreme, momenti dal sapore jazz, fortissimo impulso progressive, continui cambi di tempo, vocalizzi che coprono un ampio range di espressioni, e follia che si cela dietro ogni nota, risulta, alla lunga e nonostante i ripetuti ascolti, difficile da sopportare e da digerire, soprattutto perchè non si capisce bene dove i
Laster vogliano andare a parare e a quale pubblico intendano rivolgersi.
"Andermans Mijne" è un album contorto e fortemente
sperimentale ed i suoi autori tre musicisti fuori dagli schemi, ma questa sorta di equazione musicale, a mio parere, non funziona come dovrebbe poiché le canzoni non lasciano niente e, alla fine, sembra di aver assistito ad un mero esercizio di stile, suonato benissimo e prodotto pure meglio, ma sempre esercizio di stile, una roba, cioè, priva di una vera anima o, forse, con troppe anime che tutte assieme creano una spiacevole sensazione di smarrimento.
Probabilmente, al prossimo lavoro i
Laster scriveranno un capolavoro, il talento non gli manca di certo, ma oggi, mi dispiace, il giudizio non è positivo.
See you...
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