Tornano, dopo ben 8 anni di silenzio, gli
Weeping Silence, provenienti da Malta, con la loro quinta fatica discografica, realizzata per la label svedese
ViciSolum Productions.
La band, rispetto al precedente
Opus IV, ha pensato bene di abbandonare ogni velleità riguardante le voci femminili e, nello stesso tempo, ha aggregato alla propria line-up due validi elementi, come
Julian Mallia (batteria) e
Glenn Paul Pace (chitarra), che si aggiungono ai vari
Mario Ellul (chitarra),
Allison Ellul (tastiere),
Manuel Spiteri (basso) e
Dario Pace Taliana (voce).
Isles Of Lore è un viaggio malinconico che affonda le proprie radici nelle più antiche leggende e tradizioni folkloristiche maltesi raccontate dagli
Weeping Silence, in maniera chiara ed efficace, attraverso un gothic metal dai toni mistici e decisamente oscuri tendente, tanto al death/doom, quanto al progressive.
Siamo al cospetto di un album che si muove all’interno di paesaggi misteriosi e decadenti in cui, il dominio incontrastato dell’inquietudine, si concretizza mediante tracce dalla struttura compatta che sprigionano ondate improvvise di rabbia mista a delusione, come avviene per brani quali
Engulfer o
A Silent Curse.
Tuttavia, molte composizioni, come l’iniziale
The Watcher On The Walls (in cui spicca la presenza, nelle vesti di special guest, di Kobi Fahri degli Orphaned Land), o le monumentali
The Beast and The Harrow e
The Legend Of Matteo Falzon, si fanno apprezzare, oltre che per le suddette soluzioni stilistiche, anche per la loro struttura tecnicamente articolata, caratterizzata da trame qualitativamente valide e sempre molto curate che, per atmosfere, sembrano richiamare vagamente i Katatonia degli esordi (ovviamente con le debite proporzioni).
A conti fatti,
Isles Of Lore è un lavoro onesto e ben fatto, molto teatrale nella sua drammaticità di fondo, che raggiunge in pieno l’obiettivo prefissatosi, ossia quello di far vibrare le corde più sensibili dell’umana coscienza attraverso melodie introspettive e delicate da una parte, ma anche mediante violente sfuriate sonore dall’altra, il tutto avvolto sempre da un’aura di profonda amarezza, vero e proprio filo conduttore dell'intero disco.
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