Sesto
album per gli
Ohmwork … come sesto? E come ho fatto a lasciarmi sfuggire gli altri cinque?
In breve, questa è la mia reazione dopo il primo ascolto di “
In hindsight”, eccellente nuovo lavoro di un trio norvegese a me finora completamente sconosciuto.
Come definire la proposta dei nostri, tale da indurmi alla suddetta stupita considerazione?
Beh, diciamo che si tratta di una singolare fusione tra Black Sabbath, Black Widow, Motorpsycho e Rush, di un tipo che potrebbe piacere pure agli estimatori degli ultimi Mastodon.
Al di là di questi fantasiosi voli pindarici comparativi, propedeutici (spero) a indirizzare e incuriosire il lettore, a sorprendere è la maniera in cui
Anders L. Rasmussen,
Helge Nyrud e
Espen A. Solli trattano la materia musicale, forgiando un
mix di
heavy-rock,
psych-prog e
hard davvero suggestiva e variegata, capace di passare con estrema disinvoltura da liquide dilatazioni soniche a dense pulsazioni d’estrazione
stoner/doom, ammantando il tutto con una particolare predisposizione alla melodia evocativa, straniante e magnetica.
Non siamo di fronte ad una “rivoluzione copernicana”, ma senza alcun dubbio è “roba” tutt’altro che banale, in un’epoca in cui la pura ortodossia sembra avere la meglio su ogni tentativo di elaborare i nobili dogmi del
rock n’ roll in modo distintivo e peculiare.
Ebbene, gli
Ohmwork, al netto delle varie fonti d’ispirazione, esibiscono una loro “personalità” fin dal poderoso atto d’apertura dell’albo, “
Trial of the Witch (pt. II)”, un coagulo di note saturo di cupa elettricità che si espande nel clima ieratico di “
17 Years”, per poi vezzeggiare l’astante attraverso l’apparente pacatezza di “
Welcome to my insanity”, in grado di trasformarsi in una tumultuosa e irrequieta progressione sonica.
“
Turmoil” schiude le porte ad una perniciosa cerimonia dalle suggestive astrazioni psichedeliche, e se “
Relentlessly closer” assume le sembianze di una ballata arcana e mistica, la melodia deragliante e greve di “
Hindsight” conquista i sensi con il suo incedere mutevole.
“
The web” squarcia le ragnatele dei
seventies con una linea melodica che riesuma addirittura qualcosa dei Bachman-Turner Overdrive, mentre “
Adrift”, posto a sigillo dell’opera, ne rappresenta in qualche modo la summa espressiva, addensando rarefatte visioni Pink Floyd-
esche su un sostrato di turbolenti e solenni scenari di scuola Sabbath-
iana.
Recuperare l’intera discografia degli
Ohmwork diventa a questo punto una mia priorità … nel frattempo mi gusto ancora una volta “
In hindsight”, un disco da consigliare a chi ama le formule musicali “retrospettive” e non per questo pavide e totalmente prive di creatività.
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