Apprendere del ritorno discografico dei
Tryptamin, a distanza di ben dieci anni dal precedente “
Monday hangover”, è una di quelle notizie che farà felice chi come il sottoscritto li aveva accolti come una vera “boccata d’ossigeno” in una scena musicale dove invece è spesso “l’aria viziata” a farla da padrona.
Ero dunque molto curioso di ascoltare questo nuovo “
Piacenza, Wisconsin”, il risultato di un tracciato creativo riavviato nel 2020, e cioè nel momento in cui il
mastermind del gruppo
Pietro Beltrami ha ritrovato gli stimoli e il giusto fervore per tornare a diffondere sotto lo “psicotropo”
monicker la sua singolare miscela di note e acume.
Eh già, perché il “tempo” non ha minimamente intaccato la personalità e l’inventiva dei
Tryptamin, oggi artefici di un suono maggiormente orientato al
synth-pop e alla
new-wave, conservando intatta una forza espressiva sempre palpitante, sorprendente e parecchio appagante sotto il profilo emotivo.
Supportato dai fedeli collaboratori
Michael Fortunati e
Federico Merli, affiancato dal nuovo membro
Riccardo Demarosi (responsabile anche della registrazione, del
mix e del
mastering dell’albo),
Beltrami ripropone in forma più elettronica il
mood al tempo stesso malinconico, raffinato e accattivante del disco precedente, in un flusso emozionale coinvolgente e dinamico, espletato attraverso una prestazione esecutiva assai accurata e matura.
Un’estetica sonora estremamente sofisticata che si traduce in una calibrata forma di
rock hi-tech ricco di nervose spigliatezze
pop, in cui non è tanto agevole individuare rifermenti “certi”, richiamando nella memoria una variegata schiera di suggestioni che coinvolge in contemporanea Radiohead, New Order, Editors, Ultravox e Coldplay.
Si parte con il ricercato
electro-pop “a presa rapida” “
The hardest thing to quit”, e se vi siete mai chiesti come suonerebbe una (improbabile)
jam-session tra Coldplay e
Joe Jackson in "
Caffeine and tramadol”
potreste trovare delle concrete indicazioni.
L’ugola calda e flessuosa di
Beltrami si conferma uno dei punti di forza del gruppo anche in “
Follower”, un misurato dosaggio tra incisive partiture ritmiche e atmosfere rarefatte e voluttuose, mentre il clima in “
Another day on the hillside” diventa più brumoso ed enigmatico, impreziosito da una chitarra liquida e trasognante.
Fascinose e pulsanti architetture sonore (con tanto di
pattern di sapore mediorientale) intridono
“Faxhall nights 2001” e se “
Bomboclat” palesa il lato più energico (intriganti anche le variazioni
reggae) dei nostri, “
Way back home” riprende a veleggiare sulle traiettorie di un
pop-rock sintetico, vellutato e iridescente, adatto a sugellare un albo che pur senza ostentare l’intento di apportare radicali sovvertimenti ai dogmi della musica contemporanea, piace (e molto) per i sintomi evidenti di una passionale irrequietezza artistica che riesce a far collidere ispirazione, stile e pure (perché no?) importanti potenzialità “radiofoniche”.
Bentornati
Tryptamin … e ora speriamo che il pubblico dimostri che “l’intelligenza non è un difetto”, nemmeno quando si tratta di una faccenda “frivola” come una coinvolgente raccolta di canzoni.