La formazione blackened death americana dei fratelli
Cook,
A Hill to Die Upon, dopo aver dato alle stampe nel 2017 il buon “
Via Artis, Via Mortis”, giunge oggi, 2023, al traguardo del quinto full-length:
“The Black Nativity”, tramite la
Rottweiler Records.
Pare che siano presenti una serie di ospiti illustri su questo nuovo LP, tra cui spiccano i nomi di
Karl Sanders (
Nile),
Ole Borud (
Extol),
Bruce Fitzhugh (Living Sacrifice) e
Sakis Tolis (
Rotting Christ).
“The Black Nativity” prosegue il cammino intrapreso con il suo predecessore, riducendo ulteriormente la componente death e le lievi influenze di matrice metal core, per porre ancora più enfasi sul versante black della band e su momenti atmosferici dal retrogusto epico, supportati anche da un più ampio uso delle clean vocals (come si può udire già dall’opener
“Hymn to Marduk” o in
“Left Handed Wizard” e
“Sacres Harp 133”). Nel complesso si può notare anche un marcato rallentamento generale dei pezzi a favore di un mood più vicino al doom, anche se rimaniamo pur sempre in ambito black/death, sia chiaro, ma gli up tempo sono ridotti davvero al lumicino; salvo
“Entre le Beouf”, dove è la velocità e una certa attitudine hardcore a far da padrona.
Una delle particolarità del progetto dei fratelli
Cook è sempre stata quella di presentare tematiche a sfondo cristiano, cosa al quanto rara per il genere proposto; anche se non sono certo gli unici, basti pensare a formazioni come
Crimson Moonlight,
Slechtvalk,
Antestor,
Immortal Soul o i più violenti
Horde.
Questo aspetto della loro musica è in questo nuovo platter forse ancora più forte, o in ogni caso più facilmente intellegibile.
Il sound generale appare meno artefatto e più old-school rispetto alle loro precedenti release, frutto del lavoro di produzione svolto dal gruppo stesso con l’ausilio di
Jairus Pascale (già all’opera recentemente con gli
Extol).
Per quanto mi riguarda non ho alcun problema con il personale credo religioso di nessuno, finché questo resta nel proprio ambito, ed anzi, nonostante io sia notoriamente ateo, sono un fan delle band menzionate poc’anzi, in particolare di
Antestor (di cui altrove recensii uno dei loro classici),
Horde e
Slechtvalk; dunque nessun pregiudizio da parte mia nel giudicare questa nuova fatica degli
A Hill to Die Upon.
Adesso, dopo questo doveroso preambolo, devo dire che gli
A Hill to Die Upon si configurano su un livello decisamente inferiore rispetto ai nomi appena citati. Nonostante
“The Black Nativity” sia un lavoro discreto finisce per risultare un po’ noioso in certi frangenti, in particolar modo quando le clean vocals si trasformano in cantilena melensa. Inoltre si avverte una sensazione di disomogeneità, tradendo così la debolezza degli statunitensi nel dare una forte coesione al mix di brutalità, melodie ipnotiche e atmosfere epiche/mistico religiose.
Si tratta indubbiamente di un prodotto curato, ma purtroppo con poco mordente, e che dubito possa essere in grado di reggere la prova del tempo.
Recensione a cura di
DiX88
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