Se decidi di intitolare il tuo album di debutto “
The great discovery”, forse vuoi comunicare “qualcosa” d’importante alla comunità melodica.
Qualora, come in realtà credo, non si sia trattato di un’evidente manifestazione di “egocentrismo”, i danesi
Boys From Heaven sono comunque veramente da considerare una “grande scoperta” e a confermare pienamente tale attributo arriva ora questo secondo “
The descendant”, il quale, volendo continuare nella parafrasi delle intestazioni discografiche, appare davvero come un “erede” della grande tradizione del cosiddetto
Westcoast sound (o
lite-AOR, come preferite …)
ottantiano, dove la componente
rock, sempre molto “misurata” e raffinata, si dimostra strettamente imparentata con il
pop, il
R&B e il
soul.
E allora, cari estimatori di Toto, MTB, Boulevard,
Hall & Oates e
Bill LaBounty, preparatevi ad essere deliziati da un disco straordinariamente godibile, che pare provenire dal “passato” senza per questo perdere una stilla della sua imperiosa efficacia emotiva.
Merito del
pathos, della classe e della ricchezza armonica che i nostri hanno saputo conferire a strepitosi frammenti sonici, pilotati ad arte da un’eleganza esecutiva di prim’ordine e incorniciati da una voce, quella di
Chris Catton, che sembra veramente “nata” per queste sonorità.
Anche grazie al consueto “tocco aureo” di
Erik Martensson, artefice delle fasi di missaggio dell’opera, “
The descendant” suona come una balsamica carezza all’apparato
cardio-uditivo, pronto, con la suggestiva
opener ”
Sailing on”, a navigare con gli scandinavi verso assolati e avvolgenti lidi musicali che rievocano alla memoria certi Toto o pure qualcosa del
John Waite solista.
“
Make it right”, con la sua base
funky, accentua ulteriormente il versante
easy listening del suono, conquistando istantaneamente i sensi al pari della notturna e pulsante “
Sarah”, che aggiunge
Don Henley tra i plausibili ispiratori dei
Boys From Heaven.
L’estetica squisitamente
pop-soul di “
Endless love” e “
Last time” potrà forse far storcere un po’ il naso anche a qualche estimatore del genere meno “eclettico”, e tuttavia sono convinto che anche costoro non potranno che sottolineare la qualità sopraffina della scrittura, delle interpretazioni e degli arrangiamenti dei brani, ancora una volta molto spiccata nella spigliatezza pianistica di “
Circles”, istoriata da un
sax intrigante.
Il
refrain irretente e la melodia vellutata di “
The dream is gone”, e, infine, le trame soffuse e adescanti di “
Too far gone”, completano un albo che una volta avremmo definito un piccolo gioiello di
pop-rock radiofonico “colto” … beh, sarò “anacronistico”, ma continuo a considerare tale definizione semplicemente perfetta per descrivere i contenuti di “
The descendant”, un'altra bella “sorpresa” di questo munifico 2023.
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