Se, in quest'epoca di assurdi talent shows lobotomizza(n)ti che stiamo vivendo, esistesse una competizione musicale il cui format, consiste nel somigliare il più possibile ai Children Of Bodom, probabilmente gli
Scythe Of Sorrow vincerebbero il primo premio, o comunque, quantomeno si piazzerebbero sul podio!
Certo, bisogna ammettere che l’assenza di un personaggio come Alexi Laiho (di cui, proprio in questi giorni, ricorre il terzo anniversario della sua prematura scomparsa), con il suo genio e la sua inimitabile classe, inizia a farsi sentire pesantemente ovunque, nel panorama musicale attuale; figuriamoci in Finlandia, ossia nella madrepatria del compianto "Wildchild". Risultato: un proliferare illimitato (e preoccupante) di connazionali "bands-clone" che, anziché limitarsi alla semplice e LEGITTIMA ispirazione, finiscono per voler scimmiottare a tutti i costi (talvolta al limite del grottesco) il glorioso combo di Espoo.
Già tempo fa, mi era capitato di recensire i, pur bravi,
Admire The Grim e giungere alle medesime conclusioni e purtroppo, questi
Scythe Of Sorrow, che esordiscono sul mercato discografico con il loro
Raven’s Cry Despair, non fanno eccezione.
In realtà, se si esclude un’abominevole cover (
Cha Cha Cha, un titolo che parla da solo!) di non so quale altrettanto aberrante pseudo-artista finlandese, il lavoro in questione, presenta delle idee, sebbene inevitabilmente derivative, musicalmente valide, soprattutto in occasione dei brani più riusciti, quali
Rise And Shine,
Nightmares,
Bloody Rollercoaster o nella stessa title-track.
Ma si tratta di tracce che vivono di fugaci sussulti e che, alla lunga, stancano, crollando qualitativamente. Composizioni godibili, a cui tuttavia, mancano anima e personalità, risultando terribilmente forzate, distaccate ed eccessivamente somiglianti, nelle trame melodiche di chitarra e tastiera, alle sonorità, già proposte e ampiamente sviscerate, di Alexi Laiho e Janne Wirman.
Cosi, all’ignaro ascoltatore, illusosi per un attimo di avere a che fare con un lavoro nettamente migliore, non rimane altro da fare, che bere l’amaro calice della delusione, cercando di affogare la sgradevole sensazione di essere al cospetto di qualcosa che non ha nulla da aggiungere rispetto a quanto già scritto (e molto meglio!) in passato.
La speranza, per il futuro, è che gli
Scythe Of Sorrow possano ripartire da quei buoni, ma effimeri, spunti presenti in
Raven’s Cry Of Despair, ed essere in grado di creare un loro sound personale, mostrando la propria indole artistica perché, in questo disco, nonostante tutte le buone intenzioni, si ha l'amara sensazione di una band che, ricadendo sempre nei medesimi errori, non ha nulla da dire, realizzando cosi un lavoro che non lascia il segno.
Sarà per la prossima volta, peccato!