La one-female band
Hulder, formatasi nel 2018 a Washington, e capitanata dalla giovane polistrumentista belga
Marliese Beeuwsaert (attualmente ventinovenne), a distanza di circa due anni dall’ultimo EP, torna sul mercato con il suo secondo full-length:
“Verses in Oath”, sotto l’egida della
20 Buck Spin.
Dietro al sound di questo nuovo lavoro della giovane ragazza vi è un finlandese piuttosto noto in ambito estremo,
Ahti Kortelainen dei Tico Tico Studios, il cui elenco prestigioso di crediti in decenni di carriera vede nomi come
Barathrum,
Belial,
Impaled Nazarene,
Moonsorrow e innumerevoli altri.
Non a caso, il sound di
“Verses in Oath” è uno dei suoi punti forti: grezzo, potente, leggermente ridondante ma al contempo nitido quanto basta per capire cosa stia avvenendo.
Il platter scorre via molto piacevolmente con i suoi dieci brani spalmati su quaranta minuti totali di musica.
Marliese ci propone un black metal di impatto, non troppo veloce, che spesso ci riconduce a semplici 4/4 molto coinvolgenti. Le strutture non sono mai troppo complesse, tuttavia non si rimane sempre su tempi cadenzati ma si spinge anche sull’acceleratore, pur sempre senza esagerazioni e senza far scemare il groove forte e seminale che contraddistingue l’album.
Ci sono molte atmosfere sinfoniche, magniloquenti e ridondanti, che però rimangono sempre nel solco della tradizione di riferimento di metà anni ’90, e al contempo dotate di una forte personalità.
L’aria che si respira è inquietante, pregna di malvagità e di malinconia. Si viene trasportati all’interno di tempi oscuri che spesso si incardinano su sfere concettuali medioevali e folkloristiche olandesi.
Si fa fatica a credere che dietro a tutto ciò ci sia una candida fanciulla come la belga, in particolar modo se si ascolta il cantato: una sorta di growl cavernoso che si mischia con lo scream, e che niente ha da invidiare alle ugole più famose del metal estremo.
Probabilmente il platter avrebbe bisogno di qualche elemento distintivo in più per quel che riguarda le singole tracce, che a volte risultano carenti di quella scintilla che le potrebbe condurre alla totale introiezione da parte dell’ascoltatore.
Comunque sia ci sono molte cose buone nelle tenebre fatte calare sopra le nostre teste da
Marliese. A partire da tracce muscolari come
“Hearken the End”, la
“Title-track”,
“Into the Well of Remembrance” (la migliore del lotto),
“Vessel of Suffering” e la conclusiva
“Veil of Penitence”.
Gli
Hulder si riconfermano essere una realtà interessante e gradualmente in ascesa…
Li aspetto al varco della fatidica terza prova, con, nel mio cuore nero, grandi prospettive future.
Recensione a cura di
DiX88
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