Il nuovo album dei danesi
Solbrud, il quarto della loro carriera, è un progetto molto
ambizioso.
I quattro membri del gruppo si sono cimentati, ognuno singolarmente, nella scrittura di un lato dell'ipotetico doppio vinile, mentre, ovviamente, tutto il gruppo ha registrato ogni traccia. Un approccio, questo, diverso da quanto fatto fino ad oggi dai nostri, capace, quindi, di introdurre novità all'interno del Black Metal di un gruppo in costante ricerca di una propria identità specifica che, comunque, su
"IIII", resta evidentemente riconoscibile.
A questo particolare processo compositivo, ha preso parte attivamente anche
Ole Luk prima di lasciare i
Solbrud per dedicarsi, completamente, agli Afsky ed essere sostituito dal nuovo vocalist e chitarrista
David Hernan entrato in formazione all'inizio del 2022.
Il grande sforzo in fase di songwriting fatto dai quattro ragazzi danesi si traduce in un album dedicato ai quattro elementi fondamentali, uno per "lato", molto lungo (parliamo di oltre un'ora e mezza di musica), ricercato e dallo spirito sottilmente "progressive", sebbene
"IIII" sia, indiscutibilmente, un lavoro estremo, e nerissimo, caratterizzato dal costante alternarsi di parti melodiche, ricche di arpeggi, e di micidiali sfuriate in tremolo picking che trasformano la musica in un vento, gelido, che soffia senza sosta.
Al di sopra di ogni cosa, in questo album, si stagliano una generale atmosfera melanconica ed un senso di ineluttabilità che avvolgono il disco, lo caratterizzano, e lo trasformano in una esperienza dolorosa molto difficile da sopportare senza la giusta predisposizione mentale e, naturalmente, il tempo necessario per interiorizzare una quantità notevole di stratificazioni ed arrangiamenti così distanti da qualunque velleità commerciale, così come da qualunque "faciloneria".
I
Solbrud, a mio avviso, hanno forse esagerato negli intenti, ed una lunghezza più "umana" avrebbe reso
"IIII" un album ancora migliore di quanto già non lo sia, tuttavia, le incantevoli trovate melodiche, gli arpeggi dolci e carezzevoli, lo scream devastante e passionale del nuovo frontman, i sapienti intrecci di rallentamenti doomish e velocità incontrollate, riescono, comunque, a consegnarci uno spaccato del Nord di grande intensità emotiva e straordinaria forza catartica, confermando, qualora ce ne fosse bisogno, che i
Solbrud, sebbene nel loro rigoroso alveo underground, restano una certezza ed un sinonimo di qualità e pura dedizione alla propria arte.
"IIII", dotato, tra l'altro, di una bellissima copertina (anche questa divisa in
quattro), non è, immagino sia chiaro, un prodotto facile ne tantomeno accessibile a "tutti", ma è un caleidoscopio di emozioni e musica il quale, se si riuscirà a capirne coordinate ed intenti, farà breccia nelle vostre anime con la sua poetica grezza e squassante, e con la sua misantropica bellezza.
Ancora una volta, la musica estrema si erge ad Arte ed i
Solbrud a suoi depositari, mentre, intorno a noi, l'inverno, e le sue suggestioni più remote, si fanno sempre più materiche e concrete.
Un viaggio "infinito" degno di essere vissuto fino in fondo....