Esordio discografico bello e convincente quello dei californiani
Anubis, formatisi nel 2018 ma che, solamente in questo inizio 2024, dopo 6 anni di EP e singoli rilasciati, riescono finalmente a piazzare il loro primo full-length, tramite la label connazionale
M-Theory Audio.
Dark Paradise è un massiccio assalto sonoro che, attraverso le sue trame musicali, basate su un power talmente solido e grasso da sconfinare spesso e volentieri nel thrash (come testimoniano, ad esempio, la opener
Venom And The Viper’s Kiss o la rocciosa
Devour), tende a travolgere tutto ciò che incontra lungo il suo cammino.
La band tuttavia, si rivela particolarmente abile nell’evitare di focalizzarsi solo ed esclusivamente sull’aggressività fine a se stessa ma, riesce sempre a mantenere il proprio sound su delle invidiabili linee melodiche, particolarmente curate, che spaziano dalla malinconia a atmosfere decisamente più serene.
Il marchio di fabbrica del disco è rappresentato, oltre che dal suo caratteristico robusto muro di suono, dall’incisività tagliente delle due chitarre di
Eleazar Llerenas e
Justin Escamilla e dalla voce graffiante e cavernosa ma, all’occorrenza, anche profonda, di
Devin Reiche che, come stile, ricorda quello di Ralf Scheepers ed effettivamente, parlando più in generale, per dare un’idea dello stile degli
Anubis, il paragone con i primi dischi partoriti dei
Primal Fear (prima che la band tedesca sfornasse lavori a ripetizione in modalità “pilota automatico”) ci potrebbe anche stare, in alcune circostanze.
Le composizioni di
Dark Paradise funzionano e convincono, sia quando sono irruente e tirate, come la spigolosa
Priestess Of Dark Paradise o la travolgente
The Uncreated , sia quando sono più spensierate, vedasi la camaleontica
Fallen o la conclusiva
Thy Frozen Throne, con il suo intercedere scanzonato, dal retrogusto fortemente helloweeniano.
L’unica nota stonata di questo lavoro è la presenza, tra le varie tracce, di
Symbolic, celeberrimo brano dei
Death. Ecco, sinceramente sarebbe stato meglio evitare di scomodare un “Mostro Sacro” come Chuck, reinterpretando uno dei suoi cavalli di battaglia cantato, tra l’altro, con le clean vocals.
Tale atto sacrilego, sappiatelo cari i miei
Anubis, vi è costato almeno mezzo punto in meno nel mio giudizio finale! Ciò nonostante, ne sono certo, dormirete ugualmente sonni tranquilli, eppure non dovevate farmi un affronto simile!
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