Ai tempi di “
Lucifer II”, pur riconoscendo i notevoli meriti espressivi, tecnici e attitudinali dei
Lucifer, mi chiedevo quanto avrebbe potuto “reggere” la formula artistica molto godibile eppure abbastanza standardizzata a cui si riferivano …
beh, dopo sei anni e una produzione discografica regolare e di buon livello, posso tranquillamente affermare che il
cocktail musicale di zolfo, assenzio e
coca-cola preparato dai nostri funziona ancora benissimo, anzi si è addirittura perfezionato nel tempo, attraverso un processo che in qualche modo li accomuna ai “divisivi” Ghost.
Eh già, perché i coniugi
Andersson Platow e i loro abili
pards, in “
Lucifer V” hanno confezionato un
sound al tempo stesso nostalgico, macabro ed estremamente spigliato, in grado di affrontare con notevole disinvoltura la “sfida” rappresentata dalla ressa della scena di riferimento.
L’ostentazione di una spiccata propensione per il
pop, immersa in un clima “sinistro” e melodrammatico, ha qui raggiunto una notevole maturità ed equilibrio, e se siete allettati da un’improbabile raffigurazione dei Black Sabbath impegnati in una
jam-session con gli Abba (ascoltare “
At the mortuary” per immediato riscontro …), direi che questo quinto disco dei
Lucifer dovrebbe giocoforza catalizzare le vostre avide attenzioni di
musicofili.
Un’iperbole, ovviamente, ma nemmeno troppo lontana da una percezione sonora che coinvolge anche le nobili effigi di Blue Oyster Cult, Fleetwood Mac, Heart, Thin Lizzy, Judas Priest (il
riffone di “
Fallen angel” è emblematico) e addirittura Motley Crue e Scorpions (“
A coffin has no silver lining”), il tutto coagulato attorno ad un
songwriting molto più “sofisticato” di quanto possa sembrare ad un ascolto distratto, dove ad emergere all'istante sono la voce adescante di
Johanna, le melodie
catchy e le chitarre frementi di
Linus Björklund e
Martin Nordin.
La cultura specifica di cui dispongono i
Lucifer (con
in primis il “volpone”
Nicke Andersson …), consente ai pezzi di gestire l’intero immaginario
vintage con acume e classe (“
Riding reaper” è tanto “tradizionale” nella struttura armonica quanto seducente ...), attingendo all’occorrenza alla languidezza fumosa del
blues (“
Slow dance in a crypt”), a suggestioni
sixties (“
Maculate heart”) o a intuizioni più tipicamente
hard-rock (“
The dead don't speak”, “
Strange sister”), senza dimenticare di ammantare il tutto di un
mood grottesco e teatrale (“
Nothing left to lose but my life”, per esempio, piacerebbe senz’altro a
Richard O'Brien …) di enorme attrattiva.
“
Lucifer V” si ritaglia uno spazio importante nell'affollato universo dell’
occult-rock, collocandosi esattamente là dove le ombre di quel fascinoso luogo si fanno un po’ più “rassicuranti” e affabili.
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