Copertina 7

Info

Anno di uscita:2024
Durata:41 min.
Etichetta:20 Buck Spin

Tracklist

  1. NEURAL HACK
  2. WARPED
  3. OUTER PHASE
  4. AUTOMOIL & ROBOTOIL
  5. CYBERMORPHISM MAINFRAME
  6. HYPERLINE UNDERFLOW
  7. LOWER FORM RESISTANCE

Line up

  • Claude Leduc: guitars, vocals
  • Antoine Daigneault: bass
  • Philippe Boucher: drums

Voto medio utenti

Ho scelto a caso questi Dissimulator dal mucchio degli album da recensire e vi ho trovato con piacere alcune facce note dell’underground estremo. L’esordio di questi canadesi, infatti, cela in formazione tre ceffi chiamati Philippe Boucher (batteria), Claude Leduc (chitarra, voce), Antoine Daigneault (basso) musicisti che ho già trovato nei devastanti death metaller Chtahe’ilist (recensiti qui) e nei super tecnici Beyond Creation (recensiti qui). Carramba!

I Dissimulator ci propongono un thrash metal violento, ai limiti del death e dall’alto tasso tecnico che riprende diverse caratteristiche di formazioni come Sadus, Voivod, Atheist, Obliveon, Coroner. Le elaborate trame chitarristiche, i riff trasversali e le partiture sghembe di batteria sono le fondamenta di questo Lower Form Resistance che ha il pregio di non essere un mero sfoggio onanistico dello strumento ma di trovare la via per arrivare all’ascoltatore e far percepire il lato freddo e tecnologico della galassia. Tra il groviglio musicale dei vari pezzi, infatti, si apre spesso una linea (chiamatelo wormhole, se volete) che colpisce e, assieme all’atmosfera buia e spaziale, arriva al punto e fa funzionare il disco.
Non dico che con un paio di ascolti quelle presenti su questo album diventino canzoni fischiettabili, ma è indubbia la presa che queste composizioni riescono a fare al netto di una complessità evidente. Questo disco è pregno di passaggi- ma nemmeno di passaggi, diciamo di atmosfere - che si respiravano nel magico periodo estremo dell’88-’93 e dei capolavori che sono usciti in quegli anni e i Dissimulator fanno tesoro dell’epoca d’oro del thrash e del death metal tecnico riproponendolo ai giorni nostri, non in modo pedissequo ma con rinnovata freschezza e piacere all’ascolto. Peccato per l’utilizzo della voce sempre sporca che limita in parte la profondità proposta ma è una piccola sfumatura in un disco che ha tanti riff efficaci e affilati, un lavoro di batteria mostruoso, un basso da applausi e che, come pochi, fa respirare un clima freddo, dominato dalle macchine e dall'ignoto. Ben fatto.



Recensione a cura di Francesco Frank Gozzi

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