Ci sono artisti che preferiscono concentrare i loro sforzi creativi in un unico settore stilistico e che difficilmente escono dalla loro apprezzata
comfort zone.
Poi ce ne sono altri che vivono le esplorazioni sonore come un’impellente “necessità” da soddisfare, e non come un mezzo per ingannare il tempo e non farsi “dimenticare” dai propri estimatori.
Che
Jim Matheos (Fates Warning, OSI,
Arch/Matheos, Kings of Mercia, …) e
Ray Alder (Fates Warning, Engine, Redemption, A-Z, …) appartenessero a questa seconda categoria di musicisti l’avevamo già capito da un po’, e ritrovarli in questo nuovo progetto comune denominato
North Sea Echoes ne è la lampante conferma.
In particolare, sono alcune delle esperienze del chitarrista lontano dai Fates Warning ad essere maggiormente significative per la descrizione dei contenuti di “
Really good terrible things” (bellissimo titolo, tra l’altro …), un disco che rielabora certe soluzioni musicali riscontrabili negli OSI e nei Tuesday The Sky, ammantandoli di un misticismo splendidamente interpretato dalla vocalità intrisa di
pathos di un
Alder davvero emozionante.
Un suono che attinge ad una tavolozza cromatica costantemente crepuscolare, elegiaca, rarefatta, dal gusto piuttosto cinematografico e non di rado struggente, frutto di una ricerca melodica ed emotiva da assorbire con predisposizione e contemplazione, cercando di entrare in sintonia con il senso di smarrimento e di introspezione che il “gruppo” vuole comunicare all’astante.
Un lavoro che pulsa lento e ipnotico proprio come l’
opener “
Open book”, dove chitarra, voce ed elettronica ti avvolgono nelle loro suggestive spire, che seduce nelle sofisticate coreografie
synth-soul di “
Flowers in decay”, “
Throwing stones” e della palpitante "
The mission” o ancora sa intrigare attraverso le atmosfere pastorali e
rootsy di “
Unmoved” e "
Touch the sky”.
Altrove, vedasi “
Empty” e "
Where I'm from”, il clima diventa più scuro e melodrammatico, sfruttando accenni sonori quasi
trip-hop / dub, per poi affidare a “
We move around the sun” tutta l’enfasi (fin eccessiva, invero …) di una ballata passionale e rendere “
No maps” la minimale e brumosa conclusione di un programma che affascina, pur rilevando come, a tratti, senza l’opportuno stato d'animo, il rischio di veder assottigliarsi il margine tra coinvolgimento e tedio possa essere abbastanza consistente.
In definitiva, “
Really good terrible things” conferma la variegata e avida personalità espressiva di due artisti per i quali ribadire la propria versatilità e trasmettere ciò che si dibatte nel loro intimo sembra essere la cosa più importante, anche del modo in cui il pubblico potrà accogliere tale esigenza.
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