L’altro giorno mi contatta il Capo Supremo e mi comunica che sarei stato uno dei quattro cavalieri dell’Apocalisse ad occuparsi della rece del nuovo album dei
Judas Priest, “
Invincible shield”! Io da fan di vecchissima data dei Preti di Giuda accetto di buon grado, avendo peraltro scritto anche quella di quel gioiellino inossidabile di “
Firepower”. La curiosità ovviamente è ai massimi livelli, anche se le inevitabili anteprime presentate nei mesi scorsi, hanno certamente stemperato un po’ la gioia di ascoltare il disco tutto d’un fiato. Il cervello mi diceva di non ascoltare nulla, ma il cuore ha prevalso, e alla fine non ho saputo resistere, lo ammetto! La curiosità è tanta, dicevo, proprio perché non credo di essere stato l’unico, vista l’anagrafe, a pensare che il precedente album sarebbe stato l’ultimo della lunghissima carriera dei nostri, e invece eccoli qua a smentirci…
I quattro singoli presentati in anteprima mi avevano gasato tantissimo fin dal primo ascolto, proprio perché, al di là delle chiacchiere, una band del genere continua ad avere una marcia in più, e si sente in ogni singola nota: si chiama CLASSE!
Partiamo proprio da questi: “
Panic attack” mi ha inchiodato alla sedia fin da subito, col suo inizio che sa tanto di “
Turbo”, davvero non credevo alle mie orecchie! La rete s’è scatenata, tutti a dare in testa al buon
Halford, insinuando non meglio identificati aiutini elettronici per quanto riguarda le parti più acute, arrivando a tirare in ballo addirittura l’AI. Io penso semplicemente che la dimensione live è un conto, quella in studio un altro, e avendo avuto a disposizione tutto il tempo di cui necessitava per registrare le sue parti (e un produttore di altissimo livello quale è
Andy Sneap, che già col precedente disco è riuscito a far rinascere la band tirando fuori il meglio di ognuno di loro), sia riuscito a compiere il miracolo, e se così non fosse, e ci fossero stati davvero aiuti tecnologici, il brano è talmente bello e la sua prova così MAGISTRALE, che me ne frega davvero ben poco!
Prima di andare avanti: credete che la citazione di
Tom Sawyer dei Rush sia voluta o casuale? Si apra il dibattito…
È stata poi la volta di “
Trial by fire”. Dopo la mazzata precedente, ci hanno presentato un brano più pacato, possente, che a primo ascolto mi ha dato l’impressione di essere stato composto ai tempi di “
Firepower”, in quanto ripropone le stesse atmosfere, con l’aggiunta di cori suggestivi a sostenere la prova impeccabile di
Rob. Ci è stato poi proposto “
Crown of horns”, un pezzo di quasi sei minuti, e come per il precedente si tratta di un mid tempo rocciosissimo. Rispetto a “
Trial by fire”, però, parliamo di una canzone dal sapore un po’ oscuro, a volte malinconico, che ancora una volta presenta un ritornello che ti si stampa in testa e non esce più. “
The serpent and the king”, ultimo dei quattro ad essere arrivato, alza di nuovo l’asticella della velocità, per non parlare del tono di
Halford, che in barba ai suoi 72 anni non ne vuole proprio sapere di deporre lo scettro di Metal God!
Ora inizia, almeno per me, la parte più interessante dell’ascolto, quella dedicata agli inediti, e il primo pezzo in cui mi imbatto è proprio la titletrack, e di nuovo resto basito e stento a credere che stiamo parlando di una band di arzilli vecchietti (
Faulkner a parte, ovviamente): una scheggia incredibile che va a completare una tripletta inziale assurda, in cui i nostri mettono in chiaro definitivamente e in maniera inopinabile chi siano i veri ed unici Dei del Metal!
Dopo tanta violenza è il caso di placarsi un po’, ed ecco quindi un bel mid tempo, “
Devil in disguise”, e arriva, almeno per me, anche la prima autocitazione, in quanto il refrain mi ha ricordato moltissimo quello di “
I’m a rocker”. Nulla di grave, ovviamente, il resto del brano è comunque ben strutturato, con un lavoro ritmico di alto livello, sia per quanto riguarda i riff, sia per il lavoro svolto da
Hill e
Travis, quadrati e precisi. I toni si mantengono pacati con “
Gates of Hell”, in cui è possibile ancora una volta godere del gusto melodico della band, che da sempre è uno dei loro punti di maggior forza, sia per le bellissime linee vocali, che per l’ottimo lavoro svolto dal buon
Richie Faulkner, da anni, ormai, entrato appieno nello spirito dei
Judas. Io penso ci sia molto di lui, se non quasi tutto, in questo lavoro; sicuramente tutti gli assoli. Il mitico
Glenn Tipton risulta ufficialmente in formazione, ma credo che il suo apporto sia stato più che altro, per ovvi motivi, compositivo, quindi lode a
Richie, che si è sobbarcato una mole di lavoro incredibile. Oltre che un ottimo chitarrista, anche la giusta linfa vitale che è servita, negli anni, a rivitalizzare la band.
Volete un altro po’ di adrenalina? Ci pensa “
As God is my witness” a riaccendere il sacro fuoco, con un riff assassino alla “
Metal meltdown” (ecco la seconda autocitazione) ed un andamento che trasuda metallo fuso da ogni nota. E sfido chiunque a non canticchiare l’ennesimo ritornello dopo la prima volta che l’ha ascoltato…
Ci avviamo, purtroppo, verso la conclusione dell’album con la triade finale, che spesso porta malumori, in quanto a volte vengono inseriti alla fine i brani più deboli del disco. Sarà così anche questa volta?
Vediamo: “
Escape from reality” ha un riffone malefico ed un incedere ai limiti del doom, ci pensa poi il buon
Rob a rendere più melodico il tutto, senza perdere quel pathos che solo lui riesce a creare. “
Son of thunder” e “
Giants in the sky” chiudono alla grande un lavoro che ha dell’incredibile, due brani corposi, quadrati, che di tutto sanno tranne che di filler conclusivi (sentite la parte acustica di “
Giants…”, da brividi, con
Halfird di nuovo sopra le righe), così ricchi di melodie e di ottimi riff.
Penso di essermi già dilungato eccessivamente, anche se per un disco del genere nessuna parola è di troppo.
Sarà il loro epitaffio? Di pancia direi di si, ma a questo punto ho imparato a non dare nulla per scontato nella vita.
Ci sono stati aiutini tecnologici? Dal punto di vista strumentale lo escludo del tutto, per quanto riguarda la voce mi sono già espresso prima, e personalmente non me lo pongo proprio il problema, sono talmente contento di poter godere di tutto ciò, che sinceramente me ne frego.
L’album è migliore o peggiore del suo (ormai) illustre predecessore? Ancora non so rispondere a questa domanda, per adesso li colloco sullo stesso gradino del podio, posso solo dirvi che “
Firepower” ha resistito alla grande alla prova del tempo, “
Invincible shield” per adesso risulta convincente su ogni fronte, ma aspetterò per vedere se lo riascolterò con lo stesso piacere tra qualche tempo, anche se sono praticamente certo di si, visto che già ora, dopo gli ascolti dovuti per poter scrivere la rece, mi è rimasto dentro…
Lo so che c’è una folta schiera di giovani virgulti che tiene alto il nome del vero metallo con ottimi dischi e show pieni di attitudine, ma quando si parla dei Maestri non ce n’è per nessuno, neanche, non me ne vogliano, per i diretti rivali capitanati dell’ex di lusso
K.K. o per i Maiden, che da un confronto discografico degli ultimi venti anni escono fuori con le ossa veramente a pezzi…
THE PRIEST IS BACK!