La "rinascita" di
Terence Holler, dopo la separazione dagli Eldritch, passa attraverso sentieri artistici inaspettati. Sarebbe stato troppo facile (e scontato) continuare ad esprimere la propria verve creativa attraverso quegli stilemi metal prog che gli hanno regalato giusta fama e sacrosanta notorietà, ma le sfide non sono mai state un problema per il cantante italo-americano. Devo dire la verità: alla luce di quanto espresso diversi anni fa nel progetto Vicious Mary, quello di "
Reborn" è esattamente il tipo di svolta che avrei auspicato per il ritorno in "pompa magna" di
Terence. La sua, infatti, non è mai stata la tipica voce legata a doppio filo ad un solo genere, anzi l'innata propensione armonica ha sempre esercitato un grande impatto sulla cifra espressiva maturata nel corso dei decenni. Lo sbarco in territorio AOR/melodic rock potrebbe rappresentare quindi una sorpresa, ma fino ad un certo punto: gli
Holler, visto che si tende legittimamente a rivendicare l'identità di band vera e propria, navigano sicuri tra gli spumeggianti flutti della melodia, sciorinando una competenza da autentici bucanieri del settore. Introdotto da un'iconica copertina fottutamente 80's, "
Reborn" viene aperto dal primo singolo "
Do You Believe", con le keyboards di
Matteo Chimenti, ora squillanti ora suadenti, ad accompagnare una linea vocale dal retrogusto Foreigner, collocati esattamente nel periodo "Agent Provocateur"/"Inside Information". E se "
I Don't Want" sciorina tentazioni da Survivor, soprattutto nell'eroico tocco di pianoforte, "
Music Is The One" insiste su riferimenti stilistici a Surgin e Prophet, con
Holler a vestire idealmente i panni di Russell Arcara. I Toto di "You Got Me" (da "The Seventh One"), con tutto il conseguente carico funky/soul, sono la papabile ispirazione primaria di "
Falling Apart", mentre "
Into Me Forever" torna a parlare il linguaggio dell'AOR più godereccio, con gli Autograph che sembrano fare capolino sullo sfondo di un refrain altamente "contagioso". Stupisce anche la ricchezza dell'effettistica utilizzata, per definire i contorni di brani apparentemente semplici, ma che in realtà non lasciano assolutamente nulla al caso: mi riferisco alla sontuosa ballad Journey-esque "
Those Eyes", ma anche a "
Without You" e "
Within Me" (meraviglioso il solo di synth), che si muovono con felpate cadenze feline dalle parti degli ultimi Unruly Child.
Terence sembra interpretare questo tipo di canzoni da sempre, e credo che il suo DNA newyorkese abbia, consciamente o no, giocato un ruolo fondamentale nella predisposizione assai "naturale" di queste 13 tracce.
Se nuovo inizio doveva essere, "
Reborn" mostra tutti i crismi dell'artista che non si accontenta del "deja-vu", ma preferisce gettarsi anima e cuore alla ricerca di un'identità finora celata dietro al velo del progressive metal. Gli applausi, meritati e sinceri, vengono da sé.
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