Arrivati alla terza fase del loro percorso artistico, potremo parlare dell’albo “definitivo” del
supergruppo The End Machine?
Ricollegandomi al dubbio / auspicio con cui chiudevo la recensione del precedente “
Phase2”, posso tranquillamente affermare che se, tutto sommato, il galvanizzante evento non si è ancora concretizzato appieno, con “
The quantum phase” siamo davvero molto vicini al suo compimento.
L’ingresso in formazione di
Girish Pradhan (Girish And The Chronicles, Joel Hoekstra’s 13, Firstborne), in sostituzione del pur bravo
Robert Mason, ha verosimilmente contribuito a rendere più “energico” l’approccio espressivo della rinomata coalizione, in grado oggi di trattare con rinnovata vitalità i sacri dogmi che sottendono le nobili definizioni stilistiche
class-metal e
hard-rock blues.
Come si potrà intuire, nulla di veramente “innovativo”, ma l’impressione è che anche grazie all’ugola stentorea e duttile di
Mr. Pradhan, il funambolico
George Lynch abbia potuto sfruttare in maniera più efficace e variegata la sua rara dotazione di talento musicale e tecnica esecutiva.
Poi, magari si tratta “solo” del risultato di una particolarmente felice contingenza ispirativa, di un tipo, che per esempio, rende “
Silent winter” e “
Killer of the night”, due piccoli attentati alle coronarie di tutti gli “orfani” dei Dokken (quelli
veri,
eh …).
Non fatevi, dunque, depistare dall’
opener “
Black hole extinction”, veemente e coinvolgente e tuttavia pure un po’ troppo “forzata”, anche perché dopo i due succitati gioiellini sonori, la scaletta riserva agli appassionati dell’
hard n’ heavy ottantiano un vigoroso
anthem da arena denominato “
Hell or high water”, un vibrante
mid-tempo tra Tesla, Mr. Big e Van Halen intitolato "
Stand up” e un paio di pezzi, l’avvolgente “
Burning man” e la sinuosa ed esotica “
Shattered glass heart”, che non potranno che conquistare l’attenzione di chi freme per Whitesnake ed Aerosmith.
Tutta “roba” impreziosita dalla chitarra davvero incontenibile di un
Lynch in forma smagliante, e sostenuta, oltre che dalla già menzionata ugola graffiante del
vocalist indiano, da una sezione ritmica che oltre a garantire il pulsante “battito cardiaco” delle composizioni, va segnalata per il prezioso supporto nei cori.
Extreme e, nuovamente, Van Halen, affiorano nell’andatura palpitante di “
Time”, mentre l’ombrosa “
Hunted” viene accolta dai sensi in maniera leggermente più “tiepida” e lo stesso si può affermare per il
groove denso e cangiante di "
Stranger in the mirror” e per la dirompente "
Into the blazing sun”, che chiude l’
album sfruttando la collaudata formula dell’
hard quintessenziale, catartico e immediato.
Come anticipato, a causa di qualche flessione compositiva rilevabile nel programma, non riesco ancora a considerare “
The quantum phase” l’inconfutabile apice artistico dei
The End Machine, ma, alla luce dei numerosi eloquenti "segnali rivelatori", sono anche convinto che il nuovo assetto della formazione sia destinato a fargli raggiungere quell’eccellenza “assoluta” che compete a musicisti così blasonati … per ora, ci “accontentiamo” di un gran bel disco.