Rainbow, Deep Purple e Whitesnake sono certamente da annoverare tra i gruppi più seminali del
rockrama di ieri e di oggi (e forse anche di domani, mi sa …), e ormai la costituzione di un cosiddetto
supergruppo è un evento talmente frequente da non sorprendere davvero nessuno.
Mettete insieme queste due considerazioni e se tale aggregazione non vi “infastidisce”, potrete concedere un’opportunità di ascolto a questo “
Time to rise”, seconda fatica discografica sulla lunga distanza per i blasonati
Social Disorder.
In questo modo scoprirete come
Anders La Rönnblom (XRomance),
Tracii Guns (L.A. Guns),
Leif Ehlin (Perfect Plan), Shawn Duncan (L.A. Guns, DC4),
David Stone (Rainbow, Max Webster) e
Rudy Sarzo (Quiet Riot, Whitesnake,
Ozzy, …) hanno deciso di “omaggiare” i tre suddetti venerabili dell’
hard britannico, affidando al “vocione” di
Thomas Nordin (dalle sfumature timbriche che mi hanno ricordato
Kal Swan) il compito di assecondare con perizia una devozione molto (a tratti, pure un po’ troppo …) evidente.
Così, se la preparazione tecnico/interpretativa non è in discussione, è impossibile dissimulare qualche dubbio proprio in merito alle composizioni, talvolta veramente prossime ad una (per quanto competente) emulazione dei “classici”.
“
Can’t get you out of my head”, per esempio, non può proprio non ricordare una sorta d’interpolazione tra “
Black night” e “
Strange kind of woman” e pure “
Forged in fire” potrebbe verosimilmente indurre
Ritchie Blackmore a reclamare i diritti d’autore (magari tramite il suo antico sodale
David Stone …).
Altrove, fortunatamente, la venerazione è meno “vistosa”, con una
title-track che delizierà anche gli estimatori degli Alcatrazz, una “
High on life” dalle forti (ma non moleste …) reminiscenze Whitesnake e una “
Going blind” che celebra in maniera piuttosto efficace la grande aristocrazia del settore.
“
Free your spirit” accentua la componente
blues n’ soul del programma, segnalandosi tra i momenti migliori di “
Time to rise”, mentre “
Stardust in mirrors” piace per il
groove vischioso e la gradevole “
Last call” lambisce “pericolosamente” un altro eccesso d’ispirazione Purple-
iana.
All’appello mancano ancora il
feeling symphonic-gospel di “
Dancing in the rain” e la conclusiva “
See what you believe”, che striscia nei sensi sinuosa e ombrosa e finisce per lusingarli nonostante la “familiarità” del
modus operandi.
Dare vita ad una
all-star band implica un onere che dovrebbe travalicare il concetto di accuratezza formale … i
Social Disorder mi sembra abbiano invece puntato un po’ troppo su questo aspetto, ricalcando i nobili
standard in maniera oltremodo rigorosa e rendendo “
Time to rise” un disco complessivamente piacevole, ma imprescindibile solo per i bulimici del
classic hard-rock.
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