Cinquant’anni di carriera … un traguardo che per i
Praying Mantis equivale a riconoscere quanto determinazione, vigore espressivo e talento siano più forti delle “mode” e ti consentano di rappresentare anche nel 2024 un “modello” per i tuoi affezionati estimatori e magari pure per i tanti propugnatori di un genere che ha riacquisito nel tempo una certa considerazione.
Il “genere” di cui stiamo parlando è una miscela di
hard classico,
british-pomp e
AOR, diventata ancor più “caratteristica” da quando J
aycee Cuijpers,
Andy Burgess e
Hans in ‘t Zandt si sono affiancati agli storici fratelli
Troy e che oggi viene riproposta in questo "
Defiance", un albo che si colloca sulla scia del precedente “
Katharsis”.
Insomma, se da un lato viene avvalorato il postulato che i nostri non deludono praticamente mai i loro
fans, dall’altro le “scintille” di “
Legacy” continuano a rimanere l’apice della loro più recente parabola artistica, comunque attrezzatissima per conquistare chiunque abbia a cuore i suoni splendidamente illustrati da Rainbow, MSG e Magnum.
Impossibile, infatti, se vi riconoscete in quest’ultima categoria di
rockofili, non rimanere affascinati dall’
opener “
From the start” (adatta anche a sollecitare i sensi dei cultori degli Europe), non fremere per le suggestive pulsazioni di
“Feelin' lucky” o per una
title-track che però al contempo mostra qualche piccola
défaillance a livello di
grip emotivo.
Il disciplinato
remake di “
I surrender” (scritta da
Russ Ballard e resa celebre dai Rainbow … ma agli “indagatori” del
rock consiglio anche il recupero della “ruspante” versione degli Head East, una
band che meriterebbe una doverosa “riscoperta” …) è ovviamente molto gradevole, mentre “
Forever in my heart” è una ballata melodrammatica fin un po’ troppo leziosa, ma tutto sommato riuscita e coinvolgente.
Andiamo comunque molto meglio con la grintosa “
Never can say goodbye”, e anche l’evocativa “
One heart” e l’efficace “
Give it up” (il
refrain “funziona” benissimo, nella sua essenzialità …) si attestano su livelli di suggestione sensoriale parecchio elevati, affermazione che invece non mi sento di estendere a “
Nightswim”, uno strumentale non sgradito e tuttavia abbastanza accessorio nell’economia complessiva dell’opera.
Il disinvolto clima di
hi-tech AOR concesso a “
Standing tall” e l’eccellente “colpo di coda” finale “
Let’s see”, (un bel “tuffo” negli esordi della
Mantide …) conducono alle conclusioni della disamina, in cui certificare il buon valore di "
Defiance" e la sua solidità espressiva, confermando i
Praying Mantis nel novero dei “veterani” in possesso di una vena artistica ancora assai rigogliosa, affidabile e pienamente credibile.
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