Ed è ascoltando dischi come questo "Something unknown" che mi viene voglia di prendere tutti i cd che posseggo e di buttarli nel cesso anche perché, in un periodo in cui bands super blasonate ed idolatrate dalla massa, immettono sul mercato discografico prodotti musicali uguali l'uno all'altro, il platter di debutto dei Kingcrow da Roma, spazza via la concorrenza con una semplicità ed una "snellezza" compositiva che hanno davvero dell'imbarazzante. Senz'ombra di dubbio la risposta italiana ai tedeschi Edguy, non tanto per le similitudini della proposta musicale, ma quanto al talento compositivo e alla giovane età dei componenti della band in questione (19 anni di media ndBeppe), i King Crow sono oramai diventati una vecchia conoscenza del popolo metallico tricolore, avendo già dato alle stampe due interessanti demo, l'ultimo dei quali lo strepitoso "Hurricane's Eye", che gli è valso il contratto con la sempre più attiva Videoradio records. Un lavoro ben strutturato dunque, registrato senza tante sovraincisioni e amenità varie in modo da conferire ai brani quella carica e quell'immediatezza dell'impatto live, requisiti che ci riportano indietro di almeno una quindicina d'anni quando i dischi venivano registrati con il sudore della fronte ma soprattutto con il cuore di chi aveva fatto dell'heavy metal la propria ragione di vita, aspetti che su "Something.." sembrano prevalere sopra ogni altra cosa. Da quello che di certo avrete capito, il genere su cui i nostri hanno confluito il loro amore e i loro sforzi, è un heavy metal classico debitore in gran parte del movimento della New Wave britannica, al quale i quattro musicisti sanno sapientemente miscelare di volta in volta influenze derivanti da un certo prog rock anni settanta, che in parte spiega la struttura alquanto articolata di alcuni brani. Musicalmente parlando la band si destreggia con disinvoltura in questo intricato disegno sonoro, mettendo in mostra una buona maturità esecutiva, inoltre, altro punto a favore dell'intero plater, i King Crow possono contare sull'ugola d'oro del vocalist Stefano Tissi uno dei pochi cantanti italiani che alla tecnica e agli sterili starnazzi da sirena, contrappone un phatos ed un'espressività degni dei migliori maestri del nostro amato genere musicale. Così dall'attacco iniziale di "Children of technology", fra echi di Diamond Head e digressioni sonore alla Yes, alla superba "The black tower" che miscela sapientemente i Rainbow dell'era Dio con il proto dark metal degli Angel Witch, passando per la tellurica "Kingcrow" dotata di quei refrain che ti entrano nel cervello dopo il primo ascolto, il disco scorre via che è un piacere lasciandomi pienamente soddisfatto, cosa che non mi capita spesso soprattutto ascoltando una band all'esordio. A me non resta che consigliarvi l'acquisto del suddetto cd, e anche se la ricerca nei negozi specializzati potrebbe essere vana, non demordete perché giuro che ne vale veramente la pena. Vola, vola in alto re corvo, verso alte vette metalliche là dove osano le aquile.
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