Uno squarcio sul petto il debut album dei germano/ucraini
Machukha (matrigna in lingua ucraina), i quali ci propongono un condensato di Black Metal e Hardcore/Crust con incursioni Grind che rimandano alla scuola finlandese – da non assimilare ai più orecchiabili
Martyrdöd (giusto per farvi un esempio) –, unito a sonorità Post-Black Metal dai caratteri depressivi che talvolta si avvicinano, quantomeno per strutture, e sentimento tragico, a realtà limitrofe al DSBM (
Shining in testa).
È un lavoro davvero intenso dove a ergersi sul piedistallo è l’evocatività della prova vocale dell’ucraina
Natalya; capace di infondere nelle sue linee vocali, in lingua madre, tutto il suo dolore, le sue angosce più intime e lo sgomento di fronte al martirio a cui è sottoposto attualmente il suo popolo. In ogni caso meglio sorvolare su questo punto… e dirigersi verso la dimensione intimista dell’opera.
Dimensione intimista strettamente legata con le angosce della singer e del loro zenit, raggiunto anni orsono, durante un attacco di epilessia che arrivò momentaneamente a paralizzarla. Tutto ciò si tramuta in un invito ad affrontare il dolore e alla ricerca della catarsi.
Il lavoro di
Natalya risulta supremo, una vera interprete prima che una cantante. E lo si può evincere nei "parlati" strazianti e pregni di disperazione della quarta traccia, i quali vanno a sposarsi con le atmosfere sospensive di stampo Post-Black, così tanto debitrici al conte norvegese. Così come lo sono gli splendidi minimalismi ambient; dove si fa atmosfera scarnificando il guitarwork tramite i tipici droni, e le ritmiche di batteria, riducendole a patterns essenziali fino a scoprirne l’osso, e inserendovi al contempo, con finezza, elementi folcloristici che rendono l’insieme di una concretezza disarmante.
Merito anche di una produzione altrettanto elementare bensì egualmente in grado di far apprezzare nella sua interezza la grande capacità artistica del gruppo. Produzione che vede la mano di
Jan Oberg (Downfall of Gaia, The Ocean) e
Jack Shirley (Deafheaven, Amenra, Wiegedood).
“Mochari” (
Consouling Sounds) è un lavoro denso di influenze che risultano, altresì, perfettamente amalgamate in un costrutto armonico davvero notevole. L’intensità non scema neanche per un istante; la tensione è palpabile, dilaniante come un fendente di sciabola, perfino quando la matrice ambient prende il sopravvento: ascoltate il brano conclusivo.
Un lancia che trafigge la carne più e più volte… Effetto a cui contribuisce, oltre alla prestazione della band, la puntuale scelta di far terminare l’assalto emotivo in soli 38 minuti.
I
Machukha sanno far male, quando necessario, con assalti sonori che portano anche qualche sentore dell’iceleandic più duro (
Misþyrming), e lo dimostrano fin dall’open track… Sono capaci di avvolgere con suite Dark Ambient quasi ipnotiche e poi travolgerci dal dolore. Ogni capitolo ha una sua precisa identità e si colloca in una visione di insieme che si disvela nella pienezza della sua violenza solo a condizione che si ascolti l’LP integralmente e tutto d’un fiato.
Una manifestazione artistica dalle vesti teatrali che va a collocarsi di diritto nel profilo dell'arte tragica. Restituendoci la vera essenza della realtà nuda e cruda.
Violento nelle forme e nei contenuti, qualunque essi siano: Black Metal.
Recensione a cura di
DiX88
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