Copertina 6,5

Info

Anno di uscita:2024
Durata:64 min.
Etichetta:Frontiers Music

Tracklist

  1. A FOREST CALLED HOME
  2. SONGS UPON WINE-STAINED TONGUES
  3. ALMOSTTOWN
  4. IMPOSSIBLE TOWER
  5. LOVE'S SOUVENIR
  6. ARCHITECT OF CREATION
  7. PORTRAIT OF US
  8. EMERALD NECKLACE
  9. WHERE SORROWS BEAR MY NAME
  10. NO PLACE FOR US
  11. HOUSE OF LIES
  12. THE OLD HURT OF BEING LEFT BEHIND

Line up

  • Adrienne Cowan: vocals, keyboards
  • Jack Kosto: guitars
  • Peter de Reyna: bass
  • Chris Dovas: drums

Voto medio utenti

I Seven Spires hanno dato prova non solo delle loro qualità ma anche di consistenza, realizzando in rapida successione ben quattro studio album e trovando il tempo anche per uno dal vivo, "Live at Progpower USA XXI" uscito giusto un anno prima di dare alle stampe "A Fortress Called Home", sempre in collaborazione con la Frontiers Music, ma che li vede interrompere sia il sodalizio con il batterista Chris Dovas, passato nelle fila dei Testament, sia la collaborazione con Sascha Paeth e Miro Rodenberg.
Dovas ha comunque fatto in tempo a suonare su "A Fortress Called Home", mentre dietro alla consolle della regia si è piazzato lo stesso Jack Kosto. Una scelta questa che non sembra aver pagato dato che l'accoppiata iniziale, "A Forest Called Home" (due minuti di intro strumentale) e "Songs Upon Wine-Stained Tongues" (dove come ospite riconosciamo anche Alessandro Conti), lascia un po' perplessi per quella sensazione di "troppo" e "ficcato dentro a forza" che ne traspare, mentre non ha apportato miglioramenti nel sound, che se ne esce sempre nitido ma anche eccessivamente sintetico.

I Seven Spires perseguono lungo la strada già intrapresa dai precedenti lavori, in una specie di match tra Kamelot e Cradle of Filth, influenze che raramente si amalgamano ma tendono piuttosto ad alternarsi, in alcuni casi senza un costrutto comune. Certo Adrienne Cowan dà conferma di tutte le sue qualità, sia nei passaggi più estremi, come l'inizio cupo e straziante di "Impossible Tower" o quello più crudo di "Architect of Creation" sia nei frangenti più melodici ed ariosi, come peraltro già riferito in passato: "dolce, ferale e feroce allo stesso tempo quindi, una estrema varietà che ritroviamo anche nelle singole canzoni".
Tutto vero, eppure anche di fronte agli evidenti sforzi il risultato non è dei più stimolanti. Infatti, per trovare dei brani dove gli Seven Spires si meritino gli applausi e non facciano storcere il naso per passaggi arditi e arrangiamenti spigolosi, tocca arrivare alla seconda metà dell'album, quanto incrociamo prima l'incalzante, e l'ottimo lavoro di Kosto alla chitarra e di Peter de Reyna al basso, "No Place for Us" e infine la conclusiva "The Old Hurt of Being Left Behind", con la sua epicità sempre in equilibrio tra il Symphonic Power e il Black Metal. Peccato però che nel mazzo ci siano pure episodi arruffati e incerti come "Almosttown", "Love's Souvenir" o "Emerald Necklace" (che deve molto agli Evanescence) per larghi tratti soffuse ed eteree, con un taglio quasi radiofonico per poi concedersi a improvvise vampate, ma che alla resa dei conti non convincono e lasciano alquanto interdetti.

Mi aspettavo il disco della svolta per i Seven Spires; invece, "Una fortezza chiamata casa" inizia a mostrare qualche crepa.




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Recensione a cura di Sergio 'Ermo' Rapetti

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