Ormai in corsa dal lontano 1993, ne hanno fatta di strada i
Sear Bliss, storica formazione ungherese fondamentale per quanto riguarda lo sviluppo del Black Metal della loro terra natia. Si ripresentano oggi, 2024, a distanza di circa sei anni dal buon
"Letters from the Edge"(2018), con il loro nuovo full-length:
"Heavenly Down", rilasciato tramite la
Hammerheart Records.
I
Sear Bliss sono una di quelle pochissime band che non hanno mai sbagliato un disco, raggiungendo quasi sempre picchi di eccellenza e incidendo ben più di un'unica gemma preziosa.
"Heavenly Down" è il settimo centro di una discografia egregia; iniziata con quelle originalissime sinfonie ricche di fiati (eufonio e trombone in testa), per una sontuosità classicheggiante che, sebbene debitrice agli
Arcturus, denotava degli stilemi – che nel medesimo periodo, nonostante su sfere concettuali e con mezzi diversi, venivano vagliate anche dagli austriaci
Summoning – allora tutto sommato inediti.
Melodie sinfoniche che attraversano l'intera discografia dei
Sear Bliss, e che tuttavia dopo i primi tre album si avviavano gradatamente a scemare – nello specifico a partire da
"Forsaken Symphony" (2002) –, a favore di un moderato indurimento complessivo del sound.
Qui, al contrario, con
"Heavenly Down", sulla scia di
"Eternal Recurrence" (2012) e di
"Letters from the Edge", gli ungheresi continuano a dare pieno sfogo alla loro attitudine teatrale e operistica, coadiuvata da una componente abissale dall'afflato carico di misticismo cosmico che ci trasporta integralmente in un'altra dimensione.
È raro imbattersi in una proposta così originale in ambito Black; indubbiamente influenzata da realtà del panorama ellenico (anche per una certa articolazione del guitarwork, oltreché per le già citate soluzioni armoniche), altresì anche dal Post-Black/ Blackgaze di scuola francese e statunitense. Tuttavia si parla di echi… Poiché un utilizzo così ricco di fiati, percussioni e tastiere, ben amalgamati con i tipici innesti Atmospheric Black dati da synth avvolgenti e altri strumenti elettronici – con episodi ambient minimali mutuati anche dal
Conte –, in grado di coesistere perfettamente con le tradizionali grammatiche dilanianti del Black Metal primigenio – incorporanti perfino dinamiche Heavy – non sono ravvisabili in molti altri gruppi. O almeno non con questa autenticità e convinzione.
È un album di pura poesia, denso di drammatico e magniloquente pathos...
Magniloquenza che proviene da altri tempi e che si ricava il suo spazio grazie ad arrangiamenti raffinati, sublimi, in grado di non perdere mai di vista né la componente Avantgarde, né quella struggente, al calor bianco; ben veicolata dalle dinamiche orchestrali e talvolta jazzistiche su cui la brutalità, ciclicamente, tende tramite progressioni a riappropriarsi di ciò che le era stato temporaneamente sottratto.
A tutto ciò tende la mano e accompagna un lavoro di produzione cristallino e privo di inutili artifizi.
Tali molteplicità coesistono sotto il segno di un incanto magico; e non appena si pensa di aver ormai appreso le caratteristiche dell'ossatura portante del disco, slanciandosi infine nella previsione di quello che avverrà nelle note successive, si rimane puntualmente sorpresi.
Differentemente dal precedente LP, in questa nuova fatica degli ungheresi, si ravvisano nella sola traccia
"Chasm" quel ricco complesso di cori Folk/Viking scanditi perlopiù da clean vocals. Qui, al contrario, anziché essere presenti in misura pervasiva, e un po' stucchevole, come lo erano in
"Letters from the Edge", assumono i connotati di sfumature epiche ricamate tramite un'alternanza growl/scream più decisa.
I
Sear Bliss si orientano, come già ripetuto più volte, su lidi sperimentali, innervati fino al midollo da partiture di matrice classica-operistica e di richiami al Jazz-Rock di fine anni '60 inizio '70; ben amalgamati, e altrettanto ben racchiusi, nonostante un certo addomesticamento, sotto la nera croce capovolta del Black Metal.
È difficile recensire un album come
"Heavenly Down"; poiché come si possono trovare parole per descrivere un carico di emozioni così preminente? Come si possono trovare parole per descrivere un utilizzo così atipico dell'arte oscura?
Questa è un'opera di cui non si deve argomentare...
Tacere, ascoltare e ammirare: queste le parole d'ordine.
Recensione a cura di
DiX88