La seconda sorpresa musicale della mia estate del 2024 (la prima sono stati i
The Karma Effect, per la cronaca …) si chiama
The Mercury Riots.
Potrà sembrare un po’ strano definire “sorpresa” due gruppi che suonano
hard-rock “classico”, ma in entrambi i casi parliamo di una proposta espressiva così coinvolgente e vivace da non poter essere catalogata come una semplice e pavida riproposizione di temi noti.
Per quanto riguarda l’oggetto di questa disamina, tra l’altro, siamo di fronte a una formazione che ha già ottenuto parecchi riscontri lusinghieri da parte di pubblico e critica e che nel suo
album d’esordio ha potuto contare sulla produzione di
Mike Frazer (AC/DC, Aerosmith, Metallica) e sul
mastering di
Ryan Smith (The Black Keys, Greta Van Fleet) “rischiando” seriamente di essere la prossima
big thing del
rockrama contemporaneo.
Indipendentemente dal livello di successo, vincolato a imperscrutabili leggi di mercato, possiamo tranquillamente affermare che il quartetto statunitense / uruguagio, forte di significative passate esperienze professionali (tra cui gli ottimi Bullets And Octane …) affida a questo “
In solstice” tutta la sua innata passione per l’
hard e il
blues finendo per mescolare l’insegnamento di AC/DC, Rose Tattoo e Led Zeppelin in un calderone sonoro che richiama alla memoria anche The Cult e Kix.
Il tutto intinto in un approccio che sa essere molto efficace sia nei momenti più meditati sia in quelli più scanzonati, alimentato da una conoscenza profonda del genere, in grado di mettere i
The Mercury Riots al riparo dal pericolo della parodia.
Insomma, volendo accantonare eccessivi sofismi e orpelli (proprio come fa la musica dei nostri …), se apprezzate questi suoni sono certo sarete conquistati dal crescendo “australiano” di “
Make it”, dal
mix The Cult / Aerosmith di “
Be yours” o ancora dalle pulsazioni di “
LA girls”, dove il
blues rock abrasivo si stempera con vaporosi effluvi di
glam californiano.
“
Sweet melody” rivela il lato più “sensibile” dell’ugola di
Justin Walker, impegnato con grande profitto nell’assecondare una costruzione melodica avvolgente e sinuosa, degna del titolo del brano ma priva di eccessive stucchevolezze.
“
Take me when you go” riprende a martellare i sensi e alla formula consolidata aggiunge un pizzico di vaga
grungitudine nel
riff e nel
refrain, per una suggestione subito accantonata nella successiva “
Light it up”, un pezzo che vive di attraenti chiaroscuri e nel ritornello si trasforma in un autentico inno.
Con le AC / DC-
esche “
Save me a drink” e ”
99 degrees” e la Zeppelin-
iana “
Nobody knows” la
band rischia di scivolare in un piccolo “eccesso di ispirazione” e anche se, tutto sommato, si tratta di (assai gradevoli) “peccati veniali”, la melodia ad ampio respiro e il
pathos seventies di “
Scream it out” appaiono più convincenti, favoriti da uno spiccato buongusto.
In definitiva, niente di nuovo sotto un sole che però illumina di calda, brillante e confortevole luce emotiva il pregevole e incoraggiante debutto sulla lunga distanza dei
The Mercury Riots.
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