Mi approccio ad ogni nuovo album degli
Offspring con un misto di speranza e preoccupazione: sono stati la band che ha fatto cominciare il mio cammino tra punk e metal, sono come fratelli di cui conosci i pregi, ma i cui difetti ti mandano in bestia.
Il precedente album,
“Let the Bad Times Roll”, era brutto. Molto brutto. Un’accozzaglia di brani fatti uscire qua e là nell’arco di un decennio, buttati in mezzo a qualche inedito derivativo in cui i pochi spunti interessanti erano comunque uccisi da una produzione approssimativa e suoni pessimi. Arrivare addirittura a proporre una cover di una loro cover (la
“Gone Away” orchestrale recentemente rifatta live addirittura con Brian May, una roba di bruttezza inarrivabile, da farmi sperare che la moglie del chitarrista dei Queen l’abbia schiaffeggiato al ritorno a casa) sembrava un punto di non ritorno.
E invece.
Piazzato sulla copertina uno scheletro come nei bei tempi andati, stavolta fulminato (e sono sicuro che anche all’utente più distratto di metal.it non sfuggirà la citazione dei Metallica), cambiato l’ennesimo batterista, recuperato un po’ di senso del pudore,
“Supercharged” suona davvero bene.
La maggior parte dei brani sono un muro di chitarre e batteria su cui
Dexter Holland cavalca con la voce come di suo solito, accompagnato dai cori dei suoi compari. Nulla di nuovo, per carità, ma non stiamo mica a reinventare la ruota: parliamo di quel punk rock californiano imbastardito a volte con il metal ed a volte col pop a cui gli
Offspring ed i loro conterranei ci hanno abituato a cavallo tra ’90 e ’00. Tra i brani molto energici troviamo
“Light It Up”, “The Fall Guy” (il brano migliore del disco, che rimanda parecchio alla gloria di
“The Kids Aren’t Alright” e
“Million Miles Away”),
“Hanging By A Thread” e
“Truth in Fiction”, quest’ultima assai debitrice dei Bad Religion.
Non mancano i brani che nella preistoria avremmo definito “radio friendly” come la godibile
“Make It Alright”, la zuccherosa
“Ok, But This is the Last Time”, ed il disteso rock della conclusiva
“You Can’t Get There From Here”.
“Looking Out For #1” vorrebbe rifarsi ai brani più ruffiani degli
Offspring stessi, ma fallisce.
“Get Some” e
“Come To Brazil” mi confondono, sembrano nate da jam session più o meno riuscite. O meglio, in
“Get Some” il risultato è buono, mentre l’”omaggio ai fan brasiliani”, come dichiarato dagli autori, è una macedonia di elementi più o meno sensati tenuto insieme con lo sputo.
Insomma, un ritorno di forma molto gradito.
“Supercharged” non è l’album che vi cambierà la vita, ma vi farà divertire. E di questi tempi, cosa chiedere di meglio?
(Recensione a cura di Francesco "Lucio" Lucenti)
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