Innanzi tutto, una piccola considerazione generale… La scena underground (e non solo quella a dire la verità) d’estrazione rock/metal è oggi, grazie sicuramente alla tecnologia, ma anche ad una maggiore professionalità e competenza di tutto l’ambiente (dai musicisti ai tecnici operanti nel settore), molto più preparata di quella di qualche anno fa e tale aspetto è ancora più evidente se spostiamo la lente dell’analisi su un paese come il nostro per il quale questi ambiti stilistici non erano esattamente “nativi”.
Allo stato attuale, si è perso un pizzico di quella genuinità e di quell’approccio quasi naif che spesso aveva caratterizzato gli albori del nostro panorama “metallico” (una stagione per tante ragioni irripetibile e che ricordo comunque sempre con gran piacere), ma bisogna anche ammettere, d’altro canto, che non si sente affatto la mancanza di quell’approssimazione che altrettanto di frequente investiva le produzioni italiche, offuscandone talvolta le stesse virtù artistiche.
Per le ragioni summenzionate, quindi, il livello medio delle bands “sotterranee” è sensibilmente migliorato, raramente si trovano gruppi ai quali esplicitamente poter consigliare di cambiare “mestiere” (almeno sulla base della mia esperienza personale) e questo, pur essendo un fatto ampiamente positivo, ha anche ridotto un po’ la “selezione naturale”, rendendo sempre più problematico emergere in un mondo veramente molto affollato e mediamente meritorio.
In questa situazione “difficile”, fortunatamente capita ancora di imbattersi in formazioni “nuove” che s’intuisce subito possiedano qualcosa in più delle altre, un misto di talento e personalità, magari ancora “sfumato”, che te li può fare immaginare abbastanza agevolmente (se non si perderanno per strada) come prossimi importanti interlocutori del traboccante “discorso” musicale nazionale e, con un po’ di sorte favorevole e un adeguato supporto, addirittura riuscire pure a valicare i patri confini.
Tutto questo succede con gli animatori di questa disamina, gli Oblivio, i quali interpretano le meravigliose inquietudini di Anathema e Katatonia con sensibilità propria e altresì assimilano dai maestri quella sagacia nel rivestire le proprie composizioni con un delizioso tocco rockeggiante piuttosto importante dal punto di vista di un’eventuale affermazione in senso “commerciale”.
La linea melodica malinconicamente contagiosa di “Forgotten sun”, la splendida trepidazione drammatica di “Erased” (piano, voce e una chitarra seducente si fondono ad arte in un brano emotivamente travolgente) e ancora la tragica spigliatezza di “Song 4 (unforgettable suffering)”, sono le perle di un demo che vede l’ugola di Massimo (già membro di Fearwell ed Almacridaem), prima essenziale interfaccia espressiva, distinguersi per un bel timbro e per una buona caratterizzazione complessiva e non raggiunge l’eccellenza piena solo a causa dei suoni troppo “collaudati” di “A decadent spirit” (presente in veste d’ospite, a contrastare l’uso sporadico del growl, la brava Francesca Iacorossi) e per una registrazione che seppur discreta, sacrifica leggermente la sezione ritmica e manca un briciolo di nitidezza e dinamicità.
Nutro grande fiducia nelle possibilità del sestetto romano e ricordando, tra le altre cose, che stiamo parlando di un esordio dimostrativo assoluto, ho davvero apprezzato la loro vena creativa e la loro indole in cui la “mestizia” sa infettarsi con l’immediatezza della melodia, sviluppando una forma d’attrazione alquanto imperiosa.
Ripeto il concetto, riuscire a farsi “vedere” in una folla confusa di sgomitanti e discretamente validi colleghi non è un’impresa facile, secondo me gli Oblivio hanno già quasi tutte le “carte” in mano per poterlo fare e se sapranno consolidare le qualità ed allontanarsi da qualche piccola prevedibilità, le premesse per un futuro di soddisfazioni discografiche ci sono veramente tutte.
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