Intorno al 1995, in Russia, qualcuno raccoglieva la glaciale eredità norvegese dei primi
Darkthrone e
Immortal: questi erano gli
Old Wainds. Diedero alle stampe il primo full-length
"Религия духовного насилия" (Miriquidi Productions) soltanto nel 2002, dopo tre demo rilasciati tra il 1996 e il 1999.
I russi non intendono né fermarsi né cambiare direzione stilistica… E dunque, nel misantropismo più puro, intransigente e oltranzista, tornano in questa fine 2024 con la loro quinta stalattite oscura:
"Stormheart", rilasciato sotto il patrocinio della
Darkness Shall Rise Productions.
Non c'è niente di originale in un'opera come questa, soprattutto per chi risulti avvezzo, oltre ai nomi prima menzionati, a realtà come le
Legioni Nere o le linee di vetta tracciate dai
Judas Iscariot. Tuttavia, costoro, almeno in una certa fase della propria vita, avranno vissuto sulla propria pelle il disagio e la sensazione di mortifero e disanimato distacco dal mondo. Un mondo visto come crudele: indubbiamente a causa di un insieme di distorsioni proiettive patogene. Bensì anche poiché, perlomeno in parte, oggettivamente fondato su valori ben al di sotto dello zero termico e, tutt'al più, nelle ipotesi migliori, su una contraffazione dei crismi assoluti di quelle che sono state le nostre più grandi
Tradizioni. Costui non potrà non avere un sussulto al cuore nel sentire questi sette strali di ghiaccio conficcarsi nella propria carne. Perfino dopo aver fatto i conti con i propri demoni, "aver fatto pace" con un mondo con cui non si vorrebbe avere più a che fare – avendone costruito un altro a sé più congeniale –, opere come questa ti richiamano all'angoscia di base, all'estraniamento, al sentirsi nuovamente un deietto essere-per-la morte, in un contesto – per chi ha un senso del valore, proprio ad altre ere – che non può che rendere difficoltosa l'instaurazione di un senso di appartenenza di ordine superiore.
Black Metal lancinante, crudele, disperato... Dove una tempesta di neve appare già fin troppo viva.
È l'opalescenza delle lastre di ghiaccio che bruciano la terra delle foreste più desolate a imperare all'interno di
"Stormheart". Nessuna pagliacciata elettronica – salvo qualche campionamento – per fare atmosfera: riverberi, tremolo lancinanti, blast beats, minimalismo compositivo ed esecutivo.
Da ascoltare nel silenzio e nella solitudine più assoluta... Possibilmente durante un pellegrinaggio notturno, immersi in un cammino esistenziale che, volente o nolente, ci accomuna tutti.
Si badi
"a tenersi in piedi in un mondo di rovine”: giungerà un richiamo autentico proveniente dal profondo.
Recensione a cura di
DiX88
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