Qualche anno fa avevo auspicato che il
Sentiero del Destino portasse i
Distant Past indietro nel tempo, sino agli anni '80, invece per il loro quinto album, non solo non guardano al passato ma si spingono oltre il nostro sistema solare. sino al pianeta Solaris che dà il titolo al disco.
"
Solaris" è, infatti, ispirato all'omonimo romanzo di Stanisław Lem (ne sono stati tratti due film, l'ultimo dei quali interpretato da George Clooney), tuttavia le sonorità della formazione svizzera non sono state contagiate dalla Fantascienza ma restano assolutamente fedeli ad un Heavy Metal solido e senza troppi fronzoli, quindi senza aperture all'uso (e abuso) di suoni sintetizzati e futuristici, anche perché in realtà non siamo di fronte ad un concept, dato che oltre al titolo e all'immagine di copertina troviamo un solo brano ispirato dagli scritti di Stanisław Lem, "
Fugitive of Tomorrow", cui se ne affiancano altri che vertono su temi più reali e personali, oppure ispirati da altri libri e film.
Una breve intro e poi si fa sul serio con la
fast & furious "
No Way Out", una robusta rivisitazione di quelle soluzioni maideniane, soprattutto nel fluente guitarwork di
Ben Sollberger e
Lorenz Läderach, che poi ritroveremo anche su "
Sacrifice", ben punteggiata dal basso di
Adriano Troiano, mentre nel mezzo i
Distant Past ci sorprendono con la vorticosa "
Warriors of the Wasteland", episodio più orientato ai Judas Priest e con entrambi i piedi ben saldi negli Eighties.
Un avvio importante, quindi, grazie a tre canzoni che evidenziano i passi in avanti fatti dai
Distant Past, che ritrovo decisamente più coesi e convincenti, anche a livello individuale, e se la coppia
Sollberger & Laederach mi aveva già impressionato ai tempi di "The Final Stage", stavolta non ravviso alcun appunto da fare a
Jvo Julmy, efficace e completamente a suo agio in ogni frangente, miglioramenti che vengono ben sottolineanti da "
Rise Above Fear", con quella sua indole rockeggiante che rimanda alla N.W.O.B.H.M., anche se punterei più sul versante dei Praying Mantis o dei Diamond Head.
Quando poi parte "
Island of the Lost Souls" (credo ispirata dall'omonimo adattamento cinematografico di "The Island of Doctor Moreau" di H.G. Well) è subito evidente che ci troviamo di fronte ad uno dei pezzi più importanti dell'album, e i fatti lo confermano, consegnandoci un brano che guarda – senza alcun tentennamento - alle miglior tradizione del genere.
Con la già citata "
Fugitive of Tomorrow", al pari della conclusiva "
Fire & Ice", si vanno nuovamente a scomodare gli Iron Maiden, sia nelle melodie evocate dai due chitarristi sia nel drumming di
Remo Herrmann (che mi ha fatto tornare in mente il compianto Clive Burr), ma anche con qualche accenno ai primi Tokyo Blade e Tygers of Pan Tang.
"
Speed Dealer" tiene fede al suo titolo e si rivela una veloce (ma non frenetica) corsa all'insegna della miglior N.W.O.B.H.M. dove tutta la band tiene il passo di un trascinante
Julmy, che poi si conferma all'altezza anche sui toni più morbidi ed avvolgenti di una "
The Watchers" che si esalta nella seconda metà, più vivace, e nei suoi break strumentali. Le temperature si fanno più roventi su "
Realm of the Gods", episodio che ha un impeto più teutonico, direi con qualcosa dei migliori Gamma Ray, tanto nei fraseggi delle chitarre quanto nelle soluzioni vocali, senza per questo rischiare di stonare nel contesto di "
Solaris", un album che, come ho già lasciato intendere nel corso della recensione. rappresenta un bel balzo in avanti per i
Distant Past.
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