Gli
Ottone Pesante sono senza alcun dubbio una band realmente unica.
Una band che già dal secondo album (“
Apocalips”) si era fatta riconoscere nel marasma dell’underground. Ok, l’ep “
…and the Black Bells Rang” (2022) non era esattamente irresistibile, ma con questo “
Scrolls of War” il trio è tornato ad osare, sfornando un altro album di indubbio valore e personalità.
Lasciando perdere domande inutili del tipo “che genere fanno gli
Ottone Pesante?”, che potremmo definire una versione Doomish dei romani
Zu, ma con dei rimandi Grind (!) in questa sorta di Jazz/Fusion dipinto di grigio scuro ci sono anche altri elementi ad arricchire di altre sfumature un lavoro molto coraggioso e riuscito: nell’opener “
Late Bronze Age Collapse” troviamo il synth di un certo
Shane Embury (ebbene sì…) che arricchisce ulteriormente un brano già ottimo di suo, mentre in quello che io considero la punta di diamante di questo quarto full, ovvero “
Battle Of Qadesh”, alla voce c’è quella sciamana musicale di
Lili Refrain che con la sua magica voce dipinge scenari misteriosi, lontani ed ancestrali.
Un viaggio tortuoso, ma mai esasperatamente complesso quello degli
Ottone Pesante, che a fronte di qualche calo (la lunga ed ambiziosa “
Men Kill, Children Die” e la conclusiva “
Seven” sono un po’ melense e specialmente la prima ha la sensazione di brodo annacquato), contiene altri episodi sfavillanti (come non citare la fantasiosa “
Slaughter Of The Slains”?).
Bello vede come l’
Aural Music continui a puntare su una band originale e personale come questa, una fiducia che mi sento di dire essere ben riposta come dimostrato per l’ennesima volta dagli
Ottone Pesante.
Se certi azzardi non vi spaventano, beh, sapete cosa fare.
Se riescono a limare ancora un po’ certi elementi, il salto di qualità è letteralmente dietro l’angolo.
Chissà come suoneranno queste canzoni sopra le assi di un palco…
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