Sempre bello poter parlare dei
Cave In, band da Boston che esiste da trent’anni spaccati e che dalla sua ha una storia molto interessante.
La scusa per parlare nuovamente di questa mutevole creatura musicale che dal Metalcore, nel tempo passò pure all’Indie, è la ristampa di quel gioiello di “
Jupiter”, uscito giusto giusto venticinque anni fa e ora riportato alla luce all’interno di un cofanetto insieme ad un cd live e ad un terzo cd contenente le demo del ’99.
All’alba del 2000 i
Cave In con un’abile colpo di spugna smisero di essere una band Metalcore tra le tante del periodo e fecero l’album della svolta che li fece avventurare nel calderone del Post Hardcore.
Un guazzabuglio musicale che vuol dire tutto e il contrario di tutto, il Post Hardcore dei
Cave In del tempo si abbandonava quasi completamente alle Neo Pishcedelia, quindi le sonorità sono più vicine ai ‘90s piuttosto che ai sgargianti ‘70s, liberandosi quasi completamente dei germi Metalcore, con piccole influenze Indie/Alternative (che di lì a poco avrebbero portato ad un’altra importante e riuscita svolta stilistica), il Post Hardcore dei
Cave In su questo “
Jupiter” fa spesso e volentieri rima con Space Rock, seppur ben diverso dalle stramberie dei
Gong, dagli ondivaghi
Ozric Tentacles o dai trip lisergici degli
Hawkwind.
L’album originale (che arrivò in un periodo storico nel quale band come
Trouble,
Opeth,
Anathema e
Ulver tra i tanti avevano fatto delle svolte musicali molto vicine a determinati lidi sonori) si prese un bel numero di elogi, tant’è che nel tempo è divenuto un piccolo classico.
Il secondo cd racchiude un live dell’epoca, di cui si segnala una coraggiosa “
Dazed and Confused”, che per quanto apprezzabile sia non è assolutamente all’altezza della versione originale dei
Led Zeppelin, ma ci fa capire un po’ che tipo di influenze stava abbracciando all’epoca il gruppo del Massachusetts.
Sulle demo del periodo invece mi limito semplicemente a dire che sono il classico riempitivi di operazioni del genere, il classico cd che si ascolta una sola volta e poi lo si lascia sullo scaffale.
Cosa buona e giusta questa ristampa della
Relapse quindi, anche se avrei lasciato le demo in qualche polverosa soffitta dislocata chissà dove.
Al di là di un piccolo e sorvolabile neo, questa è un’importante occasione per scoprire un lavoro di livello, che magari, dopo 25 anni potrebbe avere una distribuzione maggiore di quanto avuto all’epoca.
Per i collezionisti segnalo che la cover art è diversa da quella originale.
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