Fin dai tempi degli Skyclad e poi in numerose
band d’estrazione
black metal, la musica
folk, con il suo elevato potere evocativo, è diventata parte integrante di una formula sonora che punta a sollecitare la componente più ancestrale e
pagana dell’animo
rockofilo, quella dove sopravvivono le forze primordiali della natura.
Ritrovare tali antichi pigmenti nella proposta della
Apocalypse Orchestra, dopo averli apprezzati in formazioni come Ulver, Falkenbach, Waylander, In Extremo e nei nostri Folkstone (ma l’elenco sarebbe molto più corposo …) non rappresenta esattamente una “novità”, mentre più “sorprendente” può apparire il fatto che gli svedesi li inseriscono in un ambito
gothic-doom, avvicinandosi, anche grazie ad alcune deviazioni
progressive, ad una sorta di fusione tra My Dying Bride, Primordial e King Goat.
Un’ambientazione piuttosto suggestiva, che si sgrana evocando scenari fortemente “cinematografici”, dove carovane di reietti cercano di sfuggire alla peste arrancando nelle tempeste di neve o in cui si materializzano i versi di poemi epici popolati da androgine figure femminili o ancora in cui si assiste a perniciose liturgie officiate in oscure abbazie medievali.
Un bel po’ di “immagini sonore” (e quelle citate sono solo alcune di quelle che mi ha procurato la fruizione del disco …), insomma, che gli scandinavi alimentano attraverso la voce baritonale (impegnata anche in brevi dissertazioni in
growl) di
Erik Larsson e una serie di composizioni dall’andatura marziale, flemmatica e solenne, intrise di strumenti tipici della musica popolare e di aperture armoniche trionfali, che purtroppo, però, hanno il limite di replicare un po’ troppo loro stesse, finendo, alla lunga, per attenuare l’interesse dell’astante.
Non sono sufficienti (almeno non del tutto …), infatti, le intriganti reminiscenze
prog (un esempio su tutti, “
Glass and sun” …) che affiorano nel programma per rendere “
A plague upon thee” un ascolto davvero catalizzante e scevro da qualsivoglia rischio di effetti “soporiferi”.
Difficile, vista anche la sostanziale reiterazione delle atmosfere espressive, effettuare selezioni di merito e così mi limiterò a segnalare al lettore la conclusiva “
Saint Yersinia”, eleggendola come l’emblematica dimora delle diverse peculiarità della
Apocalypse Orchestra.
Il progetto artistico è parecchio intrigante e non banale, ma per ascendere alle vette del coinvolgimento emotivo sarà necessario arricchirlo di una maggiore eterogeneità, magari proprio incrementando il coefficiente squisitamente
progressivo del suono.
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