Dalla Frisia, regione storica dell’Europa nord-occidentale che si affaccia sul Mare del Nord e si estende tra i Paesi Bassi e la Germania, giungono gli olandesi
Drôvich con il loro vento oscuro plasmato dalle grammatiche della lingua frisone – a effondere le spire della fiamma nera degli anni '90, le quali, al di là di ogni possibile evoluzione dei tempi ultimi, continuano ad ardere impetuose.
Lo stile dei tre olandesi pur essendo in termini di sound generale – grazie anche a una produzione studiata ad hoc – perfettamente aderente ai classici stilemi del primo Black scandinavo, presenta molteplici elementi eterogenei che lo rendono in realtà difficilmente inquadrabile, e, a un fugace sguardo sprovveduto potrebbe apparire come una sorta di miscela mal realizzata, risultante di una indecisione in termini di identità artistica.
In realtà, seppure necessiti di alcune rifiniture, il debut dei
Drôvich "Weagen fan pine" (
Doc Records) ha un senso ben preciso, basta saperlo cogliere e interpretare con gli "strumenti" adeguati.
Quel che qui ci viene proposto sono 46 minuti di Black metal che affonda le radici nei primi
Darkthrone, dove tuttavia si avverte con forza una certa matrice Thrash/Death tendente ad assumere, talvolta, registri leggermente atipici – in chiave Avantgarde – e su cui si inseriscono sporadiche aperture Folk vicine ai
Bathory, oltreché vari squarci acustici e melodie tra l'Heavy e il Post- black dai toni caldi e rockeggianti, con una dimensione atmosferica che, pur non essendo predominante, emerge di frequente. Una pozione estrema che personalmente mi ha richiamato i
Dunkelgrafen (a torto incompresi) degli esordi, di cui ampiamente vi ho reso conto nella nostra guida al Black teutonico. Mentre per taluni approcci più "moderni" che pur sempre preservano un tono estremamente asciutto di derivazione old-school, ai
Nocte Obducta e gli
Agrypnie.
"Weagen fan pine" è un ascolto che nonostante si presenti di non facile interpretazione, grazie al suo approccio tutto sommato breve e conforme nelle costruzioni ai dettami della
"forma canzone" – con svariati momenti assai brutali e feroci, fermo restando la notevole eleganza celata dietro a un'apparente sguaiatezza – riesce a scorrere via in un soffio, lasciando tra l'interdetto e l'esterrefatto per l'abilità, e la passione sanguigna, con cui i
Drôvich riescono a coniugare organicamente un'eterogeneità di fattori così ampia, dando luogo a un impianto intensamente nero, e non cedendo niente dell'autentico nichilismo che dovrebbe permeare ogni uscita che voglia fregiarsi di appartenere agli alti ranghi del Black metal.
Recensione a cura di
DiX88
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