Psych-stoner-doom nella sua forma più “ruspante” e viscerale, è quello che propongono i
Grave Speaker, in realtà progetto personale di
John Steele, scaturito dalle ceneri degli High n' Heavy e con “
Rays of the emerald sun” giunto alla seconda incisione discografica sulla lunga distanza.
Trentaquattro minuti di musica monolitica,
fuzz-osa e cadenzata, dunque, priva di fronzoli e pilotata dalla voce effettata di
Steele (a tratti dagli accenti vagamente
Jack White-eschi), uno che di tempo in compagnia di Black Sabbath, Saint Vitus, Obsessed ed Electric Wizard (ma suppongo anche di “qualcosa” del nostro
Paul Chain) ne deve aver trascorso parecchio.
Come spesso accade in generi musicali molto “codificati”, a fare la differenza interviene il
feeling, “misterioso” attributo che nello specifico trasforma in tenebrosamente evocativi suoni dalle caratteristiche tutt’altro che innovative.
E allora diciamo che i
Grave Speaker imperlano di quest’arcana sostanza le loro minimali trame armoniche, catacombali (“
Chosen one”), ipnotiche (“
End of time”) e sciamaniche (“
Sword of life”).
Sollevato da esigue scorie melodiche (la
title-track, con il suo
refrain ammaliatore) e da suadenti pulsazioni lisergiche (“
Bones and steel”), il massiccio sonico dimostra di sapersi aprire a
jam maggiormente dinamiche e variegate (“
Tower”, impreziosita dall’organo e da spirali mesmeriche), confermando la presenza di un bagaglio culturale ed ispirativo non dozzinale e apatico.
Rimane, tutto compreso, la sensazione che certi schematismi, anche se diffusamente apprezzati dai
die-hard fans del genere, potrebbero essere scardinati in maniera più decisa e risoluta, finendo così per considerare “
Rays of the emerald sun” un discreto esempio di plumbeo e allucinato richiamo alle forze primordiali del nostro universo.
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