Copertina 6

Info

Genere:Death Metal
Anno di uscita:2025
Durata:40 min.
Etichetta:Willowtip Records

Tracklist

  1. INTRO
  2. SEEDS OF ENTROPY
  3. ETERNAL
  4. BANE OF SYZYGIAL TRIALITY
  5. DIVERGENT ANOMALY
  6. FRACTAL ABHORRENCE
  7. ARCHITECT OF UNDOING
  8. STARING INTO THE ABYSM
  9. REQUIEM

Line up

  • Mitch Yoesle: bass
  • Alex Bacey: guitars
  • Harley Blandford: drums
  • Joel Guernsey: guitars
  • Crystal Rose: vocals

Voto medio utenti

Nati nel 2010, gli Ominous Ruin sono una band technical death metal america giunta con questo 'Requiem' alla loro seconda prova. Con un background che richiama molto i Nile dell'ultimo periodo e gli Inanimate Existence, non si può certo dire che i cinque di San Francisco propongano un qualcosa di assolutamente originale nel genere, ma senza ombra di dubbio la proposta, come si può sentire nel precedente debut album 'Amidst Voices That Echo in Stone' è più che valida. Capita però che tra un disco e il seguente cambia il vocalist, passando dal growl di Adam Rosado a quello della cantante Crystal Rose, non certo estranea alla band, dato che era già figurata sulla canzone 'Deception'.

Il risultato finale è quello di un album compatto, forse fin troppo, e che diversifica ben poco nei suoi quaranta minuti di durata, probabilmente troppo vicino all'idea di distruggere tutto ciò che si presenta sulla sua strada, come una 'Fractal Abhorrence', ma che si dimentica di mettere quel fattore x determinante a non rendere l'ascolto un unico macigno che, alla lunga, si tramute facilmente in noia, penso alla canzone più lunga del lotto 'Architect of Undoing', che presenta poco spazio per momenti di respiro o comunque che spezzano dal solito ritmo. Nessuno mette in dubbio il talento dei singoli musicisti, specie quello di Harley Blandford alla batteria che prova in alcune occasioni ('Bane of Syzygial Triality') a dare un po' di pepe ad un full length che, altrimenti sarebbe abbastanza insipido, ma la sensazione generale è quella di trovarsi davanti a un qualcosa che viaggia su binari fin troppo sicuri, e che non prova neanche ad uscirne, magari fallendo, ma perlomeno provandoci.

Tecnicamente perfetto, emotivamente meno. Molto meno.

Recensione a cura di Francesco Metelli

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