Con
“The Summoning Bell” (
Relapse Records), i
Malthusian si inseriscono appieno in quella tendenza che negli ultimi anni sta prendendo sempre più piede: un death metal gelido, distaccato, capace di evocare atmosfere rarefatte e asfissianti. È la stessa traiettoria che vede come punti di riferimento formazioni quali
Dead Congregation,
Cruciamentum, i primissimi
Sulphur Aeon e gli
Spectral Voice — ma si possono citare anche
Grave Miasma o
Triumvir Foul come tappe importanti di questo percorso; mentre su lidi ben più estremi, veri e propri precursori, abbiamo
Ulcerate e
Portal.
Pur accogliendo questa corrente di death metal obliquo e rituale, i
Malthusian non rinunciano a un saldo legame con la tradizione old school di matrice americana: echi di
Obituary,
Incantation e
Autopsy si intrecciano a un certo groove fangoso à la
Bolt Thrower, dando forma a brani che si muovono per lo più su mid-tempo cadenzati e corposi, intervallati da sporadiche accelerazioni. Le partiture doom emergono di frequente, aggiungendo spessore a un sound baritonale ma ancora intelligibile, senza mai scivolare nel brutal puro.
Il risultato è un disco che, pur non esprimendo niente di davvero nuovo, si regge su basi stilistiche solide e convincenti. La scrittura è compatta, la struttura delle tracce ben bilanciata: un viaggio claustrofobico e angosciante, in cui domina una sensazione di estraneità e distacco, trasmessa tanto dall’impostazione spettrale delle atmosfere quanto dall’eredità di un death metal che guarda alla fine degli anni ’80 e alla prima metà dei ’90 come radice viva, mai del tutto rinnegata.
“The Summoning Bell” conferma così i
Malthusian come interpreti credibili di questa deriva esoterica del death metal contemporaneo: un album che non sorprende, e che al contempo ha ben chiaro dove andare e come restarci, con coerenza, pesantezza e un senso di cataclisma imminente che si sposa bene ai tempi bui che stiamo vivendo.
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