I fenomenali
Scardust hanno fatto l’unica cosa che
non dovevano fare: indulgere solo nella bravura e nell’incredibile versatilità di
Noa Gruman, cantante e mastermind della band, e abbandonare il prog metal propriamente detto, per ripiegare su quel
Disney Metal che era già presente in nuce nel clamoroso “
Strangers”, ma che veniva mitigato da una band strabiliante, e da canzoni strumentalmente mostruose, che controbilanciavano l’estensivo uso dell’Hellscore Choir, di cui Noa è la capa (e te pareva). Il risultato, insomma, è un terzo album sempre altissimo per quanto riguarda la composizione, ma che cerca più l’effetto musical che quello prettamente metal. Rimane un disco dalla qualità elevata, con perle come “
My Haven”, “
RIP”, la bella trilogia posta alla fine, con tanto di Ross Jennings a fare da (ottimo) contraltare a Noa. Ma in mezzo, ahimé, troppa
ὕβρις e poco metallo. Che peccato.
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