Onestà innanzitutto.
I
Rage sono stati una grandissima band ma per me, ribadisco per me, il periodo D'ORO è terminato nel lontanissimo 1996 con "
End of All Days", l'ultimo capitolo di una carriera, allora, non solo senza macchie ma con dischi incredibili come "
Perfect Man" e la magica tripletta di "
Reflections of a Shadow", "
Trapped!" e "
The Missing Link".
L'era segnata dalla presenza di
Smolski e
Terrana, sempre con la formazione a tre, non mi ha mai entusiasmato ma di certo gli album da "
Welcome to the Other Side" in poi hanno avuto in ogni caso sempre qualcosa da dire, entusiasmando la fanbase, ed anche la fase successiva con l'argentino
Marcos Rodriguez, già
Induction, iniziata con "
The Devil Strikes Again" del 2016 ha avuto il suo relativo successo; ad esempio anche il nostro Frank, seguace #1 da sempre della band di Peavy, ha elargito un buonissimo voto ad un disco come "
Season of the Black" del 2017, disco che in tutta onestà mi ha sempre lasciato del tutto indifferente, della serie "un ascolto e via giusto per la storica" ma poi lasciato lì sullo scaffale a prendere la polvere.
Poi c'è stata la svolta totale, ma in negativo: entra in lineup il signor
Jean Bormann alla chitarra ed i Rage non sono più i Rage. Anche Frank cede, rimanendo deluso da due album inutili come "
Resurrection Day" e "
Afterlifelines" mentre il sottoscritto rimane inorridito da quello che oggi sono diventati i Rage.
A partire dalla copertina sconcertante di "
A New World Rising" in questo disco c'è davvero poco da salvare e ci leviamo subito il pensiero: "
Beyond The Shield Of Misery", quasi in fondo, è nettamente il brano migliore del lotto dove sembra quasi di ascoltare dei Rage d'annata.
Purtroppo per arrivarci dobbiamo passare per le vocals filtrate di Peavy, davvero male male oggi dietro al microfono, sempre quando non si scende addirittura nel growl che fa tanto figo oggigiorno, per le chitarre groovose di Bormann, con riff letteralmente strappati al metalcore e messi qui fuori contesto, per brani orribilmente concepiti e cantati come "
Against the Machine" (bella battuta, questo devo riconoscerlo), seguito a ruota da episodi a cui stento a credere come "
We'll Find a Way", dove Peavy proprio
NON CI ARRIVA PIU', mettendolo dolorosamente alla berlina, peraltro in brani debolissimi con un songwriting da piangere.
"
Cross the Line" riesce a fare pure peggio e lo si capisce subito dai primi secondi prima che partano i
Bullet For My Valentine anzi no, sono ancora i Rage... "
Next Generation", "
Leave Behind", niente non se ne salva una.
"
Fire In Your Eyes" almeno torna nei registri canori attuali di Peavy ma il brano è di una povertà atterrente ed al decimo brano "
Paradigm Change", dove regnano i riff grassi e groovosi di Bormann, getto definitivamente la spugna mentre la successiva "
Fear Out Of Time" sarebbe anche bellina, peccato non sia una strumentale. E torniamo così mestamente a "Beyond The Shield Of Misery", senza considerare la riedizione di "
Straight to Hell", originariamente presente su "Welcome To The Other Side" del 2001, che già non mi esaltava affatto in quella versione, figuriamoci in questa.
Magari oggi piacciono tantissimo, magari la mossa di Peavy gli ha fatto conquistare giovani fan che adesso affollano i loro concerti (non ci credo manco se lo vedo), magari 'sti brani su Spotify hanno centinaia di migliaia di stream ed annichiliscono tutto quello che di buono i Rage hanno fatto in passato ma non potete chiedere ad un 50enne come me che li segue in diretta da "
Secrets in a Weird World" e di lì a cascata fino ad oggi di giustificare e promuovere un disco piatto, non ispirato e fuori rotta come "A New World Rising" che ricordo unicamente per dei bei solos, punto.
Sic transit gloria mundi: tristezza e mestizia.