Due buone notizie in una sul fronte
Frontiers Music.
Innanzi tutto il reclutamento dei (redivivi)
Mattador nel prestigioso
roster dell'etichetta e subito dopo la ristampa (in digitale …) del loro unico
full-length, “
Save us from ourselves”, risalente al lontano 1994.
Eh già, ma perché, in tempi di diffusi “ritorni” più o meno giustificati, quello dei portoricani è “diverso” da tanti altri?
Beh, innanzi tutto per la qualità e le peculiarità della proposta musicale, non apprezzata per il suo reale valore in un momento storico in cui l’
hard melodico non era particolarmente in auge, ancor di più se proveniente da una nazione praticamente priva di una specifica reputazione di genere.
Su tutto è “peculiarità” la parola chiave della faccenda, dal momento che i nostri tentavano una singolare commistione tra
US power metal e
pomp, attingendo tanto da Queensryche (magari quelli di “
Empire”, nonostante “rubino” nell’
intro dell’albo parte del celebre annuncio con cui si apriva il capolavoro assoluto “
Operation mindcrime” …) quanto dai Kansas, aggiungendo alla mistura anche alcune funamboliche digressioni tipicamente
hard-rock alla maniera di certi Mr. Big.
Uscito in origine per la Osama Records, il disco ottenne buone recensioni e garantì al gruppo occasioni
live importanti, tutta “roba” che però, come spesso accade, non fu sufficiente ad assicurare un adeguato prosieguo professionale.
Un vero peccato, perché fin dalle vigorose “
Fear (HIV)” e “
Lost souls” si capiva che i
Mattador amavano la “contaminazione” tra eleganza e grinta, ottimamente pilotata da un
Tony Collazo che si consegnava alla platea
rockofila come una sorta d’interpolazione timbrica tra
Ted Poley e
Russell Arcara.
“
If you're gone” rivela il lato più pomposo dei sudamericani, capaci poi, di piazzare in sequenza le coinvolgenti pulsazioni
anthemiche di “
All behind me”, una delizia acustica denominata “
Tired” e una
power-song come “
Live your life not mine”, istoriata da suggestioni d’ispirazione
street-metal.
Arrivati alla
title-track, con il suo arrangiamento “barocco”, emerge ancora più chiara l’intenzione dei nostri di esporre il loro eclettismo espressivo, atteggiamento da plaudere ma forse non facilmente “digeribile” da chi ama(va) i suoni maggiormente “schematici” (e, nel settore, sono parecchi, e non solo negli anni novanta …) e, dopo tanta magniloquenza, si trova(va) di fronte
“I don't know why”, un
hard-blues ruvido e scalciante, non lontano dai Tesla.
Altro cambio di scenario con le tinte Journey-
esche di “
Hear me calling” e della ballata “
Lying eyes”, mentre l’ultima “
In and out of trouble”, tra stacchi
funky e il serrato fraseggio alla
Bettencourt di
Miguelangel Rodriguez, appare precipuamente rivolta agli estimatori degli Extreme.
Una “riscoperta” meritevole, dunque, che, nonostante qualche sporadica discontinuità, suona ancora parecchio “fresca” e stimolante, perfetta per alimentare l’attesa per il nuovo materiale dei
Mattador, chiamati ad affrontare la “contesa” impegnativa e agguerrita rappresentata dal frenetico
rockrama contemporaneo.