Ascoltando “
Crucible & ruin” sembra quasi che gli
Howling Giant abbiano accolto i consigli che avevo esplicitato nella disamina del precedente “
Glass future”.
Ovviamente non ho la “presunzione” di credere di aver veramente contribuito agli affinamenti espressivi del nuovo
album degli americani, e piuttosto sono propenso a ritenere che l’operazione di “asciugatura” del loro
songwriting sia il risultato della crescita naturale di artisti sagaci ed intraprendenti.
La loro musica continua a muoversi tra
space-rock,
prog, e
stoner e pur mantenendo intatta l’inclinazione alla costruzione armonica visionaria e dinamica, nei solchi dell’opera si rileva anche una certa maggiore ricerca dell’incisività, a comporre un quadro musicale suggestivo e viscerale, in cui cornici ritmiche nervose e melodie liquide e vigorose s’intrecciano con voci mesmeriche e ipnotiche.
Una “roba” che contempla un ampio spettro d’influenze (dai Rush ai Mastodon, passando per Voivod e Coheed And Cambria e arrivando, lo ribadisco, a vaghi riverberi dei sottovalutati Shudder To Think) e che oggi si avvicina “pericolosamente” ad una formula artistica distintiva e compiutamente “progressiva”.
A zavorrare tale ambiziosissima possibilità c’è ancora un pizzico di eccessiva diluizione sonica, rilevabile lungo lo scorrere di una scaletta che inizia col “botto”, grazie alle fascinose propulsioni di “
Canyons” o alle traiettorie adescanti di “
Hunter's mark”, che potrebbero finire per attrarre i
fans dei B.O.C. (se non, addirittura quelli dei Ghost!).
“
Archon” ha un approccio più “classicamente”
psych-prog e piace per la disinvolta sensibilità con cui tratta una materia sonica che nello strumentale “
Lesser gods” diventa una carezza malinconica e avvolgente, dal notevole potere evocativo.
“
Beholder I: downfall” mescola Baroness e Voivod, ma lo fa senza voltarsi indietro e cercando di progredire partendo da comuni intenti artistici e se i pulsanti cromatismi “allucinogeni” e apocalittici di “
Archivist” sarebbero stati più efficaci riducendo leggermente la durata del brano, “
Scepter and scythe” incalza i sensi dell’astante tramite frenesie ritmico-chitarristiche e “
Melchor's bones” rende il clima della raccolta catastrofico e inquietante, attingendo anche dalla lezione del
grunge più oscuro e morboso.
L’intermezzo acustico “
The observatory” introduce l’ultima scossa dell’albo denominata “
Beholder II: labyrinth”, una pregevole sintesi tra gravezze
doom e vaporose spirali
hard-psych, ennesima espressione di una
band che non si accontenta di applicare pedissequamente gli insegnamenti dei
Maestri del settore.
“
Crucible & ruin” è un varco importante per il passaggio ad una “nuova” dimensione della musica
rock pesante ed elaborata, intrisa di retaggi cosmici e psichedelici … raggiunta la soglia di tale ambito agli
Howling Giant manca davvero poco per compiere il passo “definitivo”, auspicabile fin dalla prossima, attesissima, prova discografica.
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