Se si parla di Stoner e affini, in Italia sono pochissime le etichette discografiche che con coraggio, lucida follia e lungimiranza trattano certe sonorità e tra questo piccolo manipolo di eroi c’è l’
Argonauta Records.
I
Godzilla Was Too Drunk To Destroy Tokyo nascono nel 2022, nel 2023 pubblicano i due album “
Atomic Spitfire” ed “
Evil Lord” e in questo 2025, dopo una dose massiccia di concerti fatti a destra e a manca, tornano con il nuovo album “
Sideral Voivod”. Il gruppo, oltre a farsi notare subito per il nome bizzarro, ha un sound davvero peculiare che potenzialmente potrebbe farsi apprezzare da più persone di quanto non si potrebbe pensare, ma al tempo stesso per la sua stranezza e singolarità, potrebbe pure non farsi così tanto apprezzare.
Insomma, i
Godzilla Was Too Drunk To Destroy Tokyo fanno davvero un bel pasticcio, un pasticcio dalle potenzialità enormi visto che tra le varie influenze di questo trio Heavy Psych si citano oltre agli onnipresenti Doom e Stoner, pure la Psichedelia a tutto tondo e lo Space Rock!
Partiamo dai suoni, grezzi, sgraziati, da pura garage band (e da Garage Rock di fine anni ’60, vedasi
MC5 e
The Stooges) portati avanti con tanta testarda cocciutaggine in anni nei quali le produzioni laccate, i missaggi equilibrati e i suoni puliti sono uno standard imposto che ha appiattito un buon 98% delle uscite degli ultimi, toh, 15 anni. Anche lo stile vocale della cantante è coerente con questo, tendente ad un Punk sgangherato e difatti tra le influenze citate dal gruppo, c’è il Riot Girrrl di band come
L7. Ad aggiungere ulteriore cazzimma alla proposta, c’è una chitarra bella Sludge al tutto.
Al terzo album di questo peculiare gruppo, sembra di assistere ad una immaginaria jam tra i compianti
White Stripes ed i mitici
Melvins: tanta voglia di osare, qualche ingenuità, dei passaggi a vuoto, per una proposta che a mio parere deve ancora essere limata e levigata per bene. Se il gruppo al prossimo giro di giostra riuscirà a maturare, beh… il salto di qualità è dietro l’angolo, perché molte parti strumentali sono molto intriganti, ma spesso non si lascia il giusto tempo a questo riff o a quell’assolo di svilupparsi bene per poter far decollare definitivamente l’ascoltatore in un bel trip sonoro.
La differenza qui sta nei dettagli (come ad esempio in una produzione più bilanciata), che dovranno essere limati per fare un’ulteriore step al gruppo. Certo che in mezzo al tanto qualunquismo che c’è nello Stoner, un genere sempre più schiavo di cliché limitati e limitanti, il trio ligure viaggia già su ben altri livelli.
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