Questo disco dei
Kadavar mi consente di affrontare brevemente l’annosa questione della (fantomatica?) “etica artistica” e di come giudicare un cambiamento repentino di approccio musicale, per poi magari assistere subito dopo ad un altrettanto disinvolto ritorno sui propri passi.
Gli esempi in questo senso sono innumerevoli, molti dei quali anche assai prestigiosi (dai Paradise Lost a
Bruce Dickinson, passando per
Rob Halford e Morgoth … senza dimenticare i casi di “folgorazione sulla via di Seattle”, evento che coinvolse Skid Row, Motley Crue, Dokken, Kiss e Warrant, tra gli altri …).
Come valutare tali apparenti “tradimenti”? Difficile distinguere i biechi “opportunismi” dalla necessità di assecondare diverse esigenze espressive e sebbene di primo acchito si sia portati a parlare di “voltagabbana”, con annessa rassegna di biasimi e condanne, la storia del
rock insegna che forse è più costruttivo evitare (con una certa difficoltà, invero …) “moralismi” vari e valutare di volta in volta come queste situazioni si traducono in note.
E allora diciamo che il passaggio dei
Kadavar da seguaci Sabbath-
iani (“
Abra Kadavar”) a surreali
pop-rockers (“
I just want to be a sound”) può tranquillamente inserirsi nel suddetto dibattito, anche perché il nuovo “
K.A.D.A.V.A.R.” (acronimo di “
Kids Abandoning Destiny Among Vanity And Ruin”) evidenzia una sorta di ravvedimento ispirativo (anche dal punto di vista “estetico”), recuperando le atmosfere
acid / trippy già ravvisate nel passato della
band teutonica.
Escludendo, dunque, fattori extra-musicali, mi sento di affermare che è questa la dimensione migliore in cui i nostri si esprimono, confermando, tuttavia, a valle dell’ascolto reiterato dell'
album, quel senso di artificiosità che in realtà ha praticamente da sempre contraddistinto il loro lavoro.
Così, se “
Lies” appare come un omaggio
Ozzy-esco tutto sommato degno di nota e “
Heartache” e "
Explosions in the sky” sconfinano in territori
psych-rock (di un tipo che potrebbero addirittura piacere pure agli estimatori dei Kasabian) in maniera abbastanza efficace, “
Stick it” si rivela una malriuscita fusione tra Suede e QOTSA e “
You me apocalypse” si presenta nelle dimesse vesti di una vacillante emulazione della nobile lezione Beatles-
iana.
Andiamo meglio con il
groove fosco e allucinogeno di “
The children” e con una
title-track che riesuma nella memoria effigi di The Misunderstood e Kula Shaker, mentre è molto arduo comprendere il senso della conclusiva “
Total annihilation”, alimentata da ardori metallici e bagliori
space privi di una coerente direzione.
Il tentativo di riprendere con una certa risolutezza i sentieri del
retro-rock, provando magari a renderli al tempo stesso più “criptici” e
catchy, non risulta dunque particolarmente riuscito, collocando i
Kadavar in una posizione parecchio complicata, quella riservata ai gruppi “irrisolti”, ancora in cerca di un’identità che possa renderli pienamente credibili e convincenti.
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