I Fu Manchu sono considerati da tutti la terza parte della Trimurti del desert rock (le altre due sono Kyuss e Monster Magnet) ed i loro superbi condensati di fuzz-sound “Daredevil” (1995) e “In search of..” (1996) sono ancora oggi una magica fonte alla quale attingono i nuovi discepoli di questo stile.
E’ avvenuta poi una svolta nella loro storia, il momento della fuoriuscita di Eddie Glass che, trascinandosi dietro l’amico Ruben Romano, vola a creare i meravigliosi Nebula, con l’altro ex Mark Abshire, diventati oggi una delle massime espressioni dello stoner rock. Leader assoluto dei Manchu resta quindi il lungagnone Scott Hill, che patrocina una visione semplice e chiara della vita: belle donne, auto veloci, sole, spiaggia e sballi assortiti. Il suono del gruppo comincia a trasformarsi abbandonando lentamente i cactus e la polvere del deserto per spostarsi in riva al mare Californiano, tra bikini e surfisti, ma la vena creativa subisce uno scadimento culminato con il deludente “Eatin’ dust” per la defunta Man’s Ruin. E’ palpabile qui l’indecisione della band sulla direzione da prendere, se inseguire la costola Nebula sul vecchio terreno delle svisate psichedeliche o se puntare con decisione all’heavy rock’n’roll solido e diretto, operazione per certi versi simile a quella messa in atto dai Monster Magnet di “Powertrip”.
Nel 1999 “King of the road” offre la risposta, un pesante rock stradaiolo, inno ai camionisti ed ai motori rombanti, che fuga ogni dubbio sulle intenzioni della formazione americana.
Arriviamo dunque a questo “California crossing”, che riprende ed espande i temi del disco precedente. Già la cover è un sunto della filosofia del gruppo, sufficiente per farsi un’idea del prodotto, ma le prime note di “Separate kingdom” sanciscono la definitiva rinuncia ai caratteristici effetti di chitarra per optare invece in un grezzo hard rock, nel quale compaiono ruvide linee melodiche grazie ad un Hill finalmente in grado di modulare la sua voce altrimenti monotona e cantilenante. In “Hang on” troviamo cori catchy che riportano a grandi del passato ed evidenziano il tocco della produzione di Matt Hyde (toh! Lo stesso dei Magnet..), e per chi ha voglia di confronti col passato c’è a disposizione la nuova versione di “Mongoose”, una delle poche cose da salvare di “Eatin’ dust”, qui ripulita, levigata e portata a nuova vita.
Un disco che sprizza energia, vitalità, voglia di correre, come dimostra il mordente assalto della title-track o il tiro tradizionale ma micidiale di “Downtown in dogtown”, che lascia senza fiato. Bob Belch sembra determinato a scrollarsi di dosso l’ombra lunga del predecessore e, come già visto dal vivo, trova una sua identità nei nitidi e furenti assoli che hanno poco a che fare con i “viaggi” spaziali, più legati invece alla concreta scuola hard classica.
I vecchi fans faticheranno forse ad accettare il ritmo orecchiabile di “Thinkin’ out loud”, quasi progettata per passaggi radiofonici, o l’inaspettato omaggio agli Ac/Dc “Wiz kid”, ma si possono consolare con “Ampn” e col breve strumentale “The wasteoid”, con il trip-break di Bjork, potenti anthems stoner di una formazione che dopo anni resta ancora ai vertici di quest’area musicale.
Spiace che dopo una prova così positiva il drummer sia partito alla volta dei QOTSA per ricomporre ¾ dei Kyuss, ma ciò non dovrebbe pregiudicare più di tanto il futuro dei Fu Manchu, che alla luce di questo album sarà a lungo denso di soddisfazioni.
Non è ancora stata scritta un'opinione per quest'album! Vuoi essere il primo?
Non è ancora stato scritto nessun commento per quest'album! Vuoi essere il primo?